Il mio secondo
maestro nel capo teatrale, un giorno, mentre stavo seduto dall’altra parte
della scrivania tentando di riconoscere se quella vocale era aperta o chiusa,
mi espose una sua opinione sulla vita che mi lasciò interdetto (dopo un
istintivo pensiero che suonava all’incirca così: «Ma che cazzate che spara.»;
beh, forse, meno pesante nel linguaggio); mi disse che compito dell’uomo, ma
ancor più importante, dell’artista è che la sua opera venga accolta e ricordata
anche dopo la sua morte, se l’artista muore nell’ignoranza di tutti, il suo
compito e tutti i suoi sforzi non sono serviti a nulla.
Chissà se diceva così per spronarmi o perché aveva visto
qualcosa in me; cosa lo aveva spinto ad accogliermi con così tanto zelo fra i
suoi allievi?
Ma questa è un’altra domanda e un’altra storia.
Sul momento pensai che aveva sparato un’idiozia grandissima,
immediatamente dopo lo beffeggiai, col pensiero, chiedendomi chi mai si sarebbe
ricordato di lui (oltre ai vecchi addetti ai lavori), ma poi... poi ripensai a
quelle parole, le sentii risuonare nella mente e pian piano un macigno enorme
si poggiò sulla schiena del mio morale, della mia anima; iniziai, a poco a
poco, a chiedermi se sarei riuscito a fare qualcosa, se tutta quella passione
che avevo (ed ho) per il teatro, sarebbe rimasta nella mente delle persone, se
una delle poesie, solo una, scritte nell’impeto o nella precisione, sarebbero
perpetuate e lo scenario futuristico che intravidi fu quello di una morte nell’ombra.
Ora, perché scrivo a tal proposito? Perché vado a ripescare
un fatto che può e non può interessare, ma soprattutto, abbatte il mio morale?
Semplicemente perché questa sera sono uscito di casa, ho
preso un autobus e due metropolitane e sono arrivato a Piazza del Popolo (Roma),
lì, in attesa dell’arrivo di un appuntamento, mi sono seduto sulla gradinata
dell’obelisco centrale per godere dello spettacolo che un artista di strada
stava dando: un Michael Jackson rinato.
Vedendo la folla che lo circondava, vedendo come i bambini
lo indicavano con espressioni felici, di come ragazzi e ragazze e anche adulti,
filmavano, fotografavano, gli stringevano la mano pensai a ciò che mi disse il
mio maestro e realizzai come quel Michael Jackson fosse più, molto, molto di
più di un semplice artista di strada, era la sua reincarnazione, ovvero, lo
rendeva vivo! E non solo lui, ma anche tutte quelle persone che lo guardavano
con ammirazione vedendo in lui il vero Michael ed anche in me che pensavo a
quanta magnificenza c’era...
Così accadde anche quando, in un paese estero del nord
Europa, incontrai Charlot! Era proprio lui! I pantaloni larghi, le scarpe
grandi e vecchie, un vestitino stretto che copriva la camicia bianca, il
bastone, la faccia bianca con gli occhi cerchiati di nero, i baffetti (che oggi
diremmo “alla Hitler”), il bastone e... il suo fenomenale cappello. Anche
allora lo vidi scherzare con un bambino: sceso dal suo piedistallo per
salutarlo (da notare che il bambino era già estasiato da quella figura, solo
per ciò che vedeva esteriormente) gli cadde la bombetta, così chiede al piccolo
se può riprendergliela e lui lo fa, ma proprio mentre sta per afferrarla, gli
cade il bastone! Allora chiede al bambino se può prenderglielo e lui lo fa, ma,
mentre lo afferra, la bombetta scivola nuovamente a terra; una scenetta che
durò per un po’ di tempo e quell’artista di strada sapeva sempre muoversi e
reagire in modo diverso, sempre più dinamico e catastrofico, sempre più
imprevedibile, dinoccolato proprio come l’originale. A me, quando passai
davanti a lui e lo guardai in viso, mantenendo la sua figura immobile come una
statua, si limitò semplicemente a farmi l’occhiolino, un gesto rapidissimo ma
che mi emozionò enormemente.
Ebbene, seguendo l’esperienza di questi casi, ritorno a
chiedermi se sia giusto ciò che il mio maestro diceva: che l’artista deve
mirare all’eternità, deve far sì che il suo compito perpetui nel tempo, proprio
come noi ricordiamo e citiamo i tragediografi e commediografi, o i filosofi e
poeti dell’antica Grecia, anche l’opera mia o di qualsiasi altro artista, se
raggiunge il suo compito, fra centinaia di anni sarà ricordata.
E, per dare una risposta, io sono combattuto dall’idea che
chi produca materiale artistico, in qualsiasi sua forma, pur ricordato da una
sola persona, ha fatto già il suo dovere, oppure se, nel corso della sua vita,
con un’opera abbia influenzato la vita di una singola persona, ha anche svolto
bene il suo dovere; dall’altra parte sono convinto che tutti coloro che fanno
arte debbano mirare a quella gloria che li renderà eterni e immortali! Proprio
come Elvis, proprio come Michael... e non a caso, alla morte di questi due
personaggi, centinaia di persone hanno detto che non erano morti!
Ma quale sarà la giusta risposta? E (domanda ancor più
ardua) in che modo si deve arrivare al successo?
Ma questa è un’altra storia.
Nessun commento:
Posta un commento