mercoledì 11 settembre 2013

La passione di Roma - 3° Capitolo di "In cerca di C.F."



- La passione di Roma -
Portava le iniziali di C.F. ed ora che ne avevo una più tangibile forma, la mia ricerca si faceva sempre più concreta, ma vaga, ancora troppo per poter raggiungere la fine.
Nome di gentile fragilità, di rosso, di quel colore ambiguo che ci tinge di vita e morte, di gioia, di passione, di libertà, era così e lo sapevo; e rossa era la sciarpa che mi circondava il collo, ammorbidendone la pelle ed i muscoli irrigiditi dal freddo di quel tramonto, e rosso era anch’esso, che mi sorrideva da lontano augurandomi una buona notte; ma in cielo già splendeva sorniona la Luna, sfoggiando quelle sue labbra di stella morta mi diceva: «Benvenuto a Roma.»

Abbassai lo sguardo, con esso si restrinse il mio campo visivo, schiacciato sulle facciate di palazzi antichi. Nelle orecchie risuonava l’acqua scivolata in vortici e vociare di tantissime persone che, mi resi conto, improvvisamente mi circondavano e schiacciavano nel loro andare frettoloso e gioioso. Non mi resi conto del luogo in cui mi trovavo, migliaia di suoni diversi invasero le mie orecchie fino a costringere le mani a tapparle. Ora che i suoni erano più lievi e morbidi potei osservare con una più calma cognizione il posto che mi accoglieva con così tanti fiati e tamburi diversi, occhi diversi che fendevano la luce e la facevano propria.
Girando un po’ lo sguardo, un palazzo robusto e di spalle larghe, faceva risplendere le proprie pareti di bianco marmo, alternate da piccoli balconcini e colonne con capitelli corinzi ricchi di foglie, ma era poco più in basso che iniziava il vero splendore.
Mai i miei occhi si riempirono di così tanto sgomento per la completa e complessa visione di quell’arte umana, dove l’acqua giocava fra il marmo plasmato sotto l’occhio attento e la mente artistica e le mani scaltre di un uomo.
Cessai improvvisamente di respirare, e man mano quel caos di gente sparì dalla mia attenzione; tolsi i tappi che avevo sulle orecchie ed a piccoli passi mi avvicinai al piccolo bordo della vasca, insignificante rispetto alla maestosità di ciò che racchiudeva: la forza, l’esuberanza, la precisione folle, i miti dell’uomo, i suoni di un regno marino affioravano da quello statico marmo e si animavano nella mia mente con una prorompenza inaudita. Il frenetico scorrere delle acque e l’emersione da queste dei due cavalli, uno imbizzarrito, quale simbolo della furia del mare, e l’altro più docile, quale simbolo della pace e calma delle acque marine, viene dominato dall’alto con grande imparzialità e fermezza da un dio: Oceano. Imponente e maestoso, forte, come solo una divinità sa essere, rigido e agile allo stesso momento,  che, in piedi sulla sua conchiglia, dava precisi ordini ai suoi sudditi; in lui si andava a ritrovare tutta la pace e calma che in quella fontana si disperdeva in dinamismo, velocità, linee curve in contrasto con gli acuti spuntoni degli scogli.

Così, ero a Roma, scivolato in quel mondo per ricercare C.F. un mistero avvolto da parole ed oscuro alla mia realtà tangibile.
Roma era lì, e voleva inghiottirmi nei suoi vortici.

Qualche passo, l’attenzione distolta da quella magnetica visione ed ero già altrove a rovistare per vie di bassa fama, ciò che rimaneva del suo passaggio.
I pugni stretti nelle tasche e la mente che volava via, musiche fuoriuscite da camere da letto, mi accompagnavano in questa ricerca mia....
«Ragazzo.»
Una donna dalle lunghe gambe fermò quell’andare costante dei miei passi. Mi voltai piano puntando gli occhi sul suo volto, un volto non più infantile, non più ingenuo dinanzi al mondo, e quegli occhi suoi verde scuro, mi guardavano come si osserva qualcosa di risaputo...pareva conoscere tutto di me, anche le parole che producevo con un connubio fra cervello e polmoni.
Aprii la bocca.
«Sono F.V.»
Mi precedette. Ripresi fiato e nuovamente tentai di...
«Ti vorrei parlare di qualcosa a cui tieni.»
Mi superò, nonostante il tono pacato e sapiente, fra un tiro di sigaretta e le sue lunghe occhiate, riusciva a parlare in anticipo sulla mia timidezza.
«F.V. sta per...?»
Dissi sfruttando il fiato sospeso dalla precedente affermazione rimasta inespressa, e vedendo questo mio parlare veloce allungò l’angolo destro delle sue labbra rosse, in un sorriso tremendamente malinconico. La sua mano sinistra scese lungo i suoi seni, lungo il bacino, ed infilatasi nelle gambe, scostò leggermente quella sinistra.
«Secondo te?»
Mi stava dando la possibilità di parlare, come se stesse dando un piccolo vantaggio a qualcuno che avrebbe ripreso facilmente.
«Potrebbe...non so...“F” potrebbe stare per...fonte?»
Lei annuì semplicemente mentre riaccendeva la punta della sigaretta di fuoco.
«E...“V” per...Vagina?»
Scoppiò a ridere, una risata incontrollata che ruppe quel suo apparire glaciale.
«Fonte Vagina?»
«N-no...nel senso...»
La sua risata coprì la mia voce, tanto da non permettermi di parlare o, quantomeno, sentire i miei pensieri.
«Potevi dire: Fonte Vaginale, quantomeno era più sensato.»
Alzai gli occhi al cielo scocciato, rimisi i pugni, ancora più stretti del solito, in tasca e feci per andarmene via.
«Foglia Verde. E’ così che mi chiamano.»
Uno dei miei passi tentennò per un momento, poi continuò ad avanzare.

Superati un paio di lampioni ricomparve nella stessa posizione: sicura e superba, ma questa volta non provai neanche a ragionare sulle parole da dirle, ero certo che se mi aveva seguito e provava ad ossessionarmi sapeva ciò che voleva da me.
«C.F. Questo dovrebbe attirare la tua attenzione.»
Infatti lo fece. Mi voltai verso di lei, lei sotto il cono di luce gialla creata dal lampione, io dentro quell’oscurità metropolitana...eppure non capivo chi poteva essere la luce e chi il buio.
«Foglia Verde, tu...»
«Io non so, mi spiace, non conosco C.F. ma posso darti una mano.»
Aggrottai la fronte dubbioso e F.V. mi diede subito risposta.
«C’è un uomo che può aiutarti a trovarla, lontano da questo posto, lontano dalla Roma ideale che conosci...»
«Vicino a cosa allora?»
«Vicino ai tuoi incubi.»
Divaricò leggermente le gambe e sorrise gettando la sigaretta in una piccola fontana d’epoca, agganciata al muro del palazzo; mi avvicinai a lei e venni rapito dal suo profumo, fino ad inebriarmi e lasciarmi andare sul suo morbido seno...percepii le sue carezze...

Fra le mie mani giocava un bicchiere di vino con la sua morte, provando, secondo dopo secondo, scariche d’adrenalina fra la mano destra e la sinistra.
Stavo seduto ad un tavolo in legno laccato in superficie, d’un bar cui non serve ricordare l’infausto nome. L’atmosfera di penombra e luci ingiallite dal tempo era infranta da fulmini blu: neon che, sottili, tagliavano il soffitto legnoso formando rette parallele; ogni tanto si accendevano ed una luce blu scuro li attraversava per poi scomparire verso altre sale più chiassose e fumose.
L’ansia cresceva, ma tentavo di non tradirmi, non davanti al mio interlocutore: un impassibile, invisibile e scaltro individuo, avvolto in un ombra talmente nera da farlo quasi scomparire, sotto quegli abiti anni ’40 che portava con fierezza. Il suo volto appariva in lineamenti distorti al passaggio dai lampi blu, mentre la bocca, ogni tanto, si incendiava al riflesso del tabacco del sigaro che fumava.
Era tranquillo, troppo tranquillo in confronto alle mie mani che dimenavano il bicchiere da una parte all’altra del tavolo; stringevo appena i denti per reprimere l’impulso di avventarmi sul mio interlocutore che da troppo tempo si gingillava nella sua magniloquente rudezza.
«C.F.»
Ripetei scandendo le due lettere.
«Capisco benissimo, inutile ripetere.»
Giocava ancora con la sua calma contro la mia frenesia.
«C.F.»
Dissi con più decisione.
«Stai cercando di mettermi paura?»
«C.F.»
Questa volta alzai la voce e...
«Porca puttana!»
Si lanciò sul tavolo afferrando il collo della polo nera che indossavo, spingendo la mia fronte sulla sua, costringendomi ad inalare quella puzza di sigaro mista al suo poco limpido alito.
«Sei uno stronzetto come gli altri.»
«C.F.»
Fu un impresa parlare sotto quegli odori vomitevoli.
Allora mi alzò dalla sedia facendomi staccare i piedi da terra e con una forza sovrumana mi scaraventò al suolo.
«Io non voglio giocare piccoletto! Qui tutti sanno chi sono e nessuno...nessuno pronuncia quelle lettere in mia presenza.»
Alzò la gamba, poi non ci vidi più, percepivo solamente i calci ripetuti contro lo stomaco, i fianchi, la gabbia toracica, mentre strisciavo a terra fino ad urtare contro il muro; tutti i presenti ignorarono il fatto, poiché sapevano bene chi era quell’omone che mi stava massacrando e nessuno voleva intromettersi in ciò cui io non potevo sottrarmi.
Lui continuò a calciarmi finché non udì più alcun gemito di dolore; allora si chinò, avvolse la mano destra attorno al mio collo e mi sollevò riportandomi sulla sedia del tavolo che condividevamo; dopo un gesto minimale dei suoi occhi ad un cameriere, arrivarono in tavola due bicchieri ed una bottiglia di whisky. Se ne versò subito un po’ buttandolo giù d’un fiato prima di ordinarmi di fare lo stesso.
«Bevi.»
«Senta signor...»
«Non! Non dire il mio nome.»
«Bene. Signore, io sto cercando quella cosa e la sto cercando disperatamente, ne va del mio futuro, ne va del mio essere me; e...scusi se non bevo, ma non sopporto questo genere di alcol.»
«Un uomo che non beve ma cerca C.F. è ridicolo.»
«Ne va della mia essenza.»
«Ed io perché dovrei aiutarti?»
«Perché chiunque intraprenda questo viaggio è cosciente di ciò che vuole, di ciò che affronterà.»
Estrasse cautamente un sigaro, dato che l’altro aveva deciso di buttarlo, dalla tasca della giacca e l’accese con maestria. Dopo una boccata d’aria “pura” riprese a parlare con tono più calmo.
«Ma tu non sai cos’è C.F., è il limite, l’estremo, la punta finale del riscatto...dopo C.F. non c’è che la morte.»
«Sto già morendo, che differenza c’è nell’accelerare il processo o mantenerlo uguale?»
Annuì piano gettando fuori il fumo del sigaro e, contemporaneamente, buttar giù un altro bicchiere di whisky come se stesse bevendo acqua.
«Va bene ragazzino. Lasciami la notte per pensarci, ti farò sapere.»
Si alzò afferrando il borsalino poggiato sul tavolo, ma la mia mano lo fermò.
«In che modo?»
«Io so sempre dove cercare chi voglio trovare, ho tanti occhi maliziosi e deliziosi in città. Arrivederci viaggiatore.»
«Arrivederci.»

Arrivederci Roma,
Per queste strade che sanno di smog la gente cammina indisturbata dalla presenza altrui, quasi ignara dell’altro, poiché si è in troppi in questa strada enorme dove si suda, mentre in alto i lampioni si ghiacciano.
I palazzi, di mura secolari lavorate da mano d’artista, ci spalleggiano nell’andare, salutando ogni persona per ogni piano, per ogni vaso fiorito esposto sui corti balconi.
Città di tanto, di troppo, vasta più dell’orizzonte dei nostri occhi, non tutti sanno cogliere cosa c’è in una delle tue piazze nascoste dalle guide turistiche, offuscate dalla magniloquenza di quelle opere raffinate che tutt’oggi ti rendono Roma...ed il tuo nome fa tintinnare di gioia i sogni di persone che neanche conoscono la tua lingua.
Il centro è un cuore pulsante, a volte nero, cui si cammina ignari del fatto che si sta attraversando il tempo, le epoche, i millenni, dove uomini cui solo il nome ci rende orgogliosi d’essere Italiani, hanno vissuto nelle grandi imprese, così come nelle piccole quotidiane avventure, la loro vita.
C’è sangue per queste strade cementificate, c’è poesia nei tuoi caratteristici pini, c’è musica nei teatri avvolti da mantelle rosse dove un ragazzo aspetta l’inizio dell’opera e qualcun altro desidera fotografare quell’attesa ansiosa di recepire Arte.
Di rosso si tinge la sera sulle arterie di questa Roma compulsiva e frenetica, dove auto di ritorno, svuotano uffici, scuole, università, centri, per raggiungere i focolari domestici lontani, in quei quartieri dove quasi si ci dimentica d’essere a Roma.
La notte arriva, ma quasi nessuno se ne rende conto, troppi impegni tengono lontane queste persone dalla realtà, ognuna è costretta a vivere nel proprio guscio, per riuscire a portare a casa qualcosa...che sia pane, che sia gioia, che sia stanchezza o la solita emicrania metropolitana, o mali, mal di città.
Hai tanti volti, Roma, e nella notte lentamente spegni le luci dei quartieri, mentre la folla si riversa nei vicoli casalinghi di Trastevere e qualcun altro guarda le stelle, che questa città ha creato, dall’alto del Gianicolo...mentre ciò accade io, io come altri, ti sogniamo, rivedendo in te il mondo che ci ha salvato, rivedendo sul tuo nome la sporcizia che ci offre la vita, così come la bellezza...ed in questo io ti ringrazio.
Chi non ti ama, chi non ti cura, chi ti rinnega, non ha abbastanza spirito per poter allargare le sue mani sulla tua natura quasi divina.

Delle piume volavano sul mio corpo, le loro carezze rinfrescavano il mio spirito, placavano il mio corpo, mi rendevano felice d’esser uomo....
F.V. accarezzava il bordo d’un bicchiere poggiato sul davanzale della finestra dalla quale osservava gli altri camminare e compiere i propri doveri quotidiani; fu la prima cosa che vidi quando mi svegliai sotto un caldo piumone, su di un letto che non conoscevo. Lei si voltò verso di me dandomi il buon giorno e quel viso non mi parve mai così tanto pulito e ingenuo, ingentilito dal sole mattutino, lì dove l’innaturalezza del lampione la rendeva più vecchia e volgare. Di risposta le sorrisi stropicciandomi gli occhi ancora appesantiti dal sonno.
«Hai passato una buona notte?»
«Si.»
«Bene. Meglio così.»
«E tu...come stai?»
Aveva appena ripreso a guardare le persone sulla strada quando a quella domanda, si girò sorpresa e si avvicinò con gentilezza, facendo ondeggiare quella sottile vestaglia verde scuro, come i suoi occhi, pronta a far vedere ciò che si celava sotto.
«Interessa a qualcuno?»
«A me.»
«Già...»
Si avvicinò baciandomi la bocca, con la stessa attenzione e passione con cui una ragazza bacia il proprio amore per la prima volta.
«Hai un animo gentile. Perché vuoi cercare C.F.?»
Le scostai i capelli dal viso avvolgendolo con entrambe le mani.
«Devo farlo, se non raggiungerò il mio scopo, una parte di me morirà. Ma tu...tu invece, perché fai...»
Mi zittì baciandomi ancora, piano, sfiorandomi appena; poi, alzandosi dal letto, allacciò la sua vestaglia.
«Vado a prepararti un caffè.»

C’è gente che s’innamora facilmente...io sono una di queste persone e, parlando della mia personale esperienza, non m’innamoro facilmente per una mancanza di sensibilità o di percezione dell’amore, ma per un acuta percezione di esso, per un’acuta percezione della bellezza che so scovare con maestria, e non parlo esplicitamente di bellezza estetica, ma della bellezza in generale, quella che oserei scrivere con la “b” maiuscola: Bellezza. Chissà se era amore ciò che provai nei confronti di F.V. , se quel mio osservarla in vesti umane, lontano dalla strada che comandava con sguardo superbo, per far fronte a uomini senza pudore, sporchi fin dentro il corpo, dalle idee distorte, dai modi maneschi e padroneggianti, mi avesse fatto comprendere quanta semplicità bastava per renderla una persona amabile al di fuori degli affetti fisici. Chissà se mi innamorai di lei per quella risata spontanea, per il modo in cui sapeva osservarmi, per il modo in cui respirava vicino a me e...in qualche modo, mi amava e mi amò per tutta la notte.
In lei ritrovai molte caratteristiche ricercabili in C.F., molte delle quali erano genuine e pericolose come il Fiore d’Adone.

«Da piccola non vivevo qui.»
Disse mentre indossava vestiti giornalieri e comuni.
«Stavo in una città...indefinibile. Non importa il suo nome, ma ricordo che un giorno incontrai un giovane ragazzo.»
Sorrisi intuendo che stava parlando del suo primo amore.
«Sì, in un certo senso fu il mio primo amore...anche se allora non conoscevo questa parola e pertanto...non potei dirglielo.»
Non fui sorpreso nel sentire queste parole, lei aveva sempre saputo precedere i miei pensieri.
«Insieme guardammo la Luna. Fu magnifico.»

Andai via sul tramonto, dopo aver trascorso tutta la giornata in sua compagnia, lei che mi seppe consigliare come trovare C.F. e mi regalò, sul nostro addio, un bacio da donna che non dimenticherò mai.
Ciò che scoprii era che il mio obbiettivo era ancora molto lontano, altrove, più a sud di Roma, in un’improbabile paesino cui non avevo mai sentito parlare, ma da allora quel suo nome mi entrò in mente, come fosse il mio stesso nome.

 - Se è la prima volta che leggete "In cerca di C.F." vi rimando ai capitoli precedenti:

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