sabato 7 settembre 2013

Prefazione e "Notte a Milano" (In cerca di C.F.)

Il nome "Il taccuino dei venti" sta in riferimento sia alla mia età, sia perché i venti portano turbolenze e cambiamenti ed è ciò che mi auspico porti questo Blog.

Il Blog in se si suddividerà in annunci personali, note sui miei lavori e veri e propri capitoli di racconti che ho finito di scrivere; vorrei avitare progetti nuovi o iniziati, perché la mia attività è incostante e in continua elaborazione, difatti questo blog iniziò con una storia a se, intitolata "Arcaica Mesant", quei post sono stati eliminati perché devo avere più tempo per comprendere meglio quella determinata storia.

Ciò che vi propongo, come primo lavoro è "In cerca di C.F."

Note dell'autore: C.F. è nato da un lungo viaggio interiore, in cui il protagonista, ombra dello stesso suo autore, ripercorre varie tappe della sua vita, concretizzate nelle varie città italiane, più due posti prettamente naturali, lontani dalle città, in cui avrà le più importanti rivelazioni. Il protagonista, volutamente senza nome, passa per: Milano, il lago d'Iseo, Roma, Napoli, il passo della Crocetta, Bari e infine una città misteriosa, in cui, forse, troverà la verità che racchiude in queste due lettere: C.F..
Ma C.F. non è nulla di certo, ogni lettore può vestire i panni del protagonista e compiere questo percorso con lui, fra realtà e fantasia, fino a scoprire cosa c'è oltre la porta del Cervo di Fuoco, fino a scoprirsi lui stesso protagonista di questo viaggio.
Spero che ogni lettore ne tragga un'importante verità, come io, autore, ho trovato in questa "impresa" letteraria.

Buona lettura!

 


- Notte a Milano -
In una giornata di nebbia, caratterizzata dal mio respiro, andavo da solo su di una di quelle strade di periferia. La pioggia aveva smesso di scendere ormai da un giorno ed i suoi residui d’acqua si erano andati a ghiacciare lungo l’asfalto, sul marciapiede, sui rami degli alberi spogli d’ogni loro grazia primaverile.
L’inverno calava sotto il cielo di quella città tumefatta dalla frenesia dell’uomo, dalle auto che logorano i palazzi e dai pensieri d’una ragazza che, lì, da qualche parte, aveva disperso le sue lacrime. Io le cercavo con apparente noncuranza. Osservavo le strade, i semafori, i volti di gente che ignoravano la mia presenza e quasi mi urtavano nel loro andare spedito.
Chiusi gli occhi chiedendomi perché ero lì e ripresi a camminare più deciso, ma col cuore sempre più infranto: come uno specchio rotto, lo specchio della mia anima che si incrinava giorno dopo giorno.
Camminavo.
Mi chiedevo dove lei fosse, dove quel suo sguardo si fosse posato, e se non era un sorriso che mi schiariva i pensieri, quasi sempre calava quel velo d’amarezza che mi spingeva a cercarla, a divenire così incentrato sulla storia di lei che...
Chi lo sa.
Chi lo sa cosa credevo d’avere, forse insulti, schiaffi, grida acute disciolte in lacrime? No, lei non ne sarebbe stata capace.
Così mi avvicinai ad un piccolo parco: un rifugio di questa terra braccata dall’uomo. L’assenza di persone, però, lo rendeva cupo e triste, gli donava quella carica di Mistero che si inebria nelle poesie da me composte e gliene avrei voluto dedicare una in quel momento, in quell’istante…non importava che non avevo fogli e penna, potevo scrivere nella mia mente, quei versi sparsi che amo comporre in momenti di libera poesia.

«Mi rapisci in questo tuo lugubre antro,
Mistero dalle mille identità nascoste
che mostri solo a colui che sa udirti,
che sa intendere il tuo lamento cupo;
frena il mio passo con le tue radici,
blocca il mio cammino incerto, questo
mio lento andare nella tua dimora!
O, forse, vuoi attirarmi in questo luogo,
dove tu esali respiri di morte e sonno,
per poi atterrirmi con la tua forza, io
lo so! Intuisco i tuoi pensieri effimeri,
come questa nebbia che m’avvolge
la bocca, questo ghiaccio che congela
i miei piedi, penetrando da essi, tracciando
la loro conquista su, per le ossa del corpo!
Aiutami ad esser forte, aiutami ad essere…»

«Ad essere?»
Voltai il viso udendo una voce di bambina. Io tenevo le mani sui pali di ferro che reggevano lo scivolo ghiacciato, mentre alle mie spalle un’altalena aveva preso a dondolare e su di un suo sedile vi era una bambina dai ricci capelli biondi, con indosso un vestitino bianco, calze bianche, scarpette da cerimonia bianche, mentre gli occhi restavano chiusi.
«Ad essere?»
Dissi rigirando la domanda.
«Non lo so. Io non so molto del mondo.»
Girandomi totalmente la raggiunsi sedendomi all’ultimo sediolino libero dell’altalena.
«Dove sono i tuoi genitori?»
«Non ho genitori. Vorrei che tu mi raccontassi una storia, una storia di questo Mistero. Per piacere.»
Allora annuii e, non capendo neanche il perché, cominciai a raccontarle del mio viaggio in quella terra lontana.
«Anni fa giunsi in un castello d’origine sveva, un castello molto antico, ma trascurato; in quel tempo, come oggi, faceva freddo…ma lì, prese a nevicare…»

Prese a nevicare e quel miracolo del cielo scendeva in cristalli d’una manifattura così alta da far capire come la natura non possa essere superata da niente e nessuno. Quel candore andava a posarsi lungo le vecchie mura del castello, sopra il suo antico pavimento diroccato, sui miei capelli.
Alzai il viso in aria sorprendendomi di tale situazione e proprio allora qualcun altro entrò. Io stavo in quella che, a suo tempo, doveva essere la parte centrale del castello, dove finestrelle si aprivano sulla vallata, sulla nuova città costruita in tempi in cui non si teme più l’arrivo d’un guerra; io stavo seduto su di un trono di roccia.
Chi entrò allora fu una ragazza dalla pelle di neve, gli occhi d’un azzurro che viaggiava fra quello gelido dei ghiacci e quello caldo del mare, con un andare timido e sogni rivolti al cielo. I suoi passi erano attutiti da quella moquette fredda; la sua bocca mi rivolse subito un saluto soffiato su note leggere, da flauto, ed io ricambiai con un lieve cenno del capo.
Allora era immensamente bella, la sua forza soppressa dalla timidezza che mostrava, si estendeva lungo quelle sale antiche e abbandonate, mentre la mia ombra oscurava sottile il pavimento sollevato dalla terra e spaccato da antichi flagelli.
«Ti stavo aspettando.»
Le dissi sollevandomi con calma da quel masso antico, infilando le mani nelle tasche dei blu jeans e lei non fece che arrossire e abbassare il capo. Il suo silenzio d’imbarazzo coprì quei tre passi che mi servirono per raggiungerla, poi alzò la testa nell’esatto istante in cui l’abbracciai; allora un vortice di sentimenti si accese da qualche parte dentro il mio corpo, un calore straordinario unito alla forza del vento, che sciolse la neve in brina. Quei cristalli perfetti trovavano la loro morte sul mio corpo, non riuscivano a posarsi, perché…chissà perché…il cuore mi batté così forte al contatto con la sua pelle.
Allora identificai tutto quello come Mistero, ma nel preciso istante in cui materializzai questo pensiero, lei era divenuta vento, vento che accoglieva i cristalli di neve trasportandoli altrove. In quel suo fuggire, in quel suono cupo lasciato da spire di vento gelato, percepii il suo disappunto: il rifiuto d’intraprendere una strada che io desideravo, desideravo pienamente percorrere con lei. Ma quel giorno d’inverno, perso fra le mura d’un castello, ignorato dagli uomini, è terminato in piccole poesie o in piccoli versi di poesie più grandi, che sottendono il mistero di quel giorno.

«…ciò accadde anni fa, quando ancora ricercavo me stesso, quando questo luogo e questa città mi erano ignoti.»
Sospirai e, guardando sulla mia sinistra, notai che quella bambina era scomparsa, seppur l’altalena accennava a muoversi, ma pareva più essere spinta dal vento che da altro. Non mi chiesi mai una ragione di quell’apparizione ed il perché di quel ricordo, ma aggiustai il cappello che portavo in testa e ripresi il cammino per quella città immersa nella sua modernità.

Faceva freddo, quel giorno, e per quanto potessi sfregare le mani, quella sensazione di gelo non lasciava la mia pelle ma penetrava sempre più in profondità nella carne.
Giunto ad un negozio di giocattoli mi soffermai a guardare la vetrina, a notare gli sgargianti colori di quegli oggetti, il loro restare immobile, la loro perenne vita…e la vita d’un giocattolo era tanto triste da spingermi ad allontanarmi in fretta. La gente non dava peso al mio passo svelto, non ero abituato ad udire quell’intercalare che avevano, ma ritrovavo atteggiamenti già visti in altre città. D’altronde quando la conobbi era una città sconosciuta, seppur già zeppa di automobili, di chiasso, di semafori e di palazzi, per me era sconosciuta.
«Signore.»
«Si?»
Mi sentii tirare il cappotto e quando mi girai c’era nuovamente quella bambina dai boccoli d’oro, gli occhi erano ancora chiusi, tanto che pensai che fosse incapace di vedere, o meglio, di utilizzare gli occhi…perché altrimenti, in quale altro modo avrebbe potuto riconoscermi in quel fiume di gente, se non vedendomi?
Mi chinai su di lei accarezzandole il piccolo viso dalle linee morbide e quella morbidezza mi ricordò qualcosa, un’immagine legata ai petali delle belle di notte, quei fiori dai colori sgargianti, che, solitari, sbocciano solo nelle ore notturne, celando la loro bellezza a chi vive di giorno...io la colsi. Accarezzai anche i loro petali, morbidi, d’una morbidezza inesistente in altri oggetti, un po’ com’erano morbidi i filtri di quelle sigarette che fumavo.
«Tu hai mai fumato?»
Non mi sorpresi, stranamente, di quella domanda che mi porse nell’esatto momento in cui pensai alle sigarette.
«Ci fu un periodo in cui fumavo a ripetizione, con la mente; quando presi in mano l’accendino vero, avevo già fumato la mia ultima sigaretta.»
Mi sorrise e saltellando se ne andò fra i cappotti lunghi delle persone, fra la nebbia che li avvolgeva e che la rapì a se; mi chiesi allora il perché di quella sua apparizione, ma fu una domanda così leggera, che bastò il rumore dei motori in partenza al semaforo, per distrarmi su altri concetti.

La cercavo per quegli anfratti di tristezza umidificati dalle lacrime di tutte quelle persone che non piangevano, ma lo lasciavano fare ai loro sogni ed in essi le lacrime invadevano le strade, per poi asciugarsi al mattino; la cercavo perché sentivo che era da qualche parte, nascosta fra un pneumatico ed un tombino, ansimando speranze fatte di luce, ma prima che potessi trovare la sua scia, una macchina per poco non m’investì, facendo salire al cielo il suono del suo clacson. Qualcuno riuscì a tirarmi nuovamente sul marciapiede e non fui sorpreso nel rivederla, lei, quella bambina che in quella notte aveva deciso di seguirmi come un fantasma e guidare la mia anima verso i meandri del passato.
«Devi stare attento.»
«Grazie di avermi salvato piccola.»
Mi sorrise ed io le presi la mano.
Inconsciamente cominciammo a camminare insieme, passando sotto portici, balconi gocciolanti, alberi da città intrisi di smog, fino a trovare una piccola panchina in cemento che accolse i nostri corpi stanchi.
Mi tolsi quel cappello alla Bogart che indossavo a sollevai il capo al cielo, sorprendendomi di come troppo poco la nostra attenzione si dissocia dalla terra o da un campo visivo medio; allungandomi verso il cielo risentivo il mio spirito prender forma e ossigeno, i miei sensi si rilassarono e trovai conforto nell’infinito oceano notturno, cielo, però, privo di stelle.
«La Luna non c’è.»
«No invece, c’è, solo che tu non la vedi.»
«Davvero? Tu riesci a vederla?»
«Certamente è lì.»
Ed alzò il suo piccolo indice verso la volta oscura che era compressa dalla grande città; io seguii la traiettoria indicatami ma non vidi altro che coltri nere, d’altronde ogni frazione di cielo era coperta da nubi.
«Io non vedo proprio niente sai?»
«Con cosa stai guardando? E specialmente, cosa guardi?»
«Guardo il cielo e...si guarda con gli occhi, almeno le cose “visibili”.»
«Ma io ti ho indicato la Luna non il cielo, ed abbiamo altre percezioni oltre gli occhi.»
Ci pensai un po’ su, chiusi gli occhi, feci un bel respiro e ricercai in me quell’altra fonte percettiva di cui ero dotato, non so bene definirla, non so se era talento, ispirazione o qualcosa legato a logiche matematiche e genetiche, ma so che era in me, ciò che mi concede di creare dal nulla, ciò che mi rende Artista.
Quando riaprii gli occhi vidi la Luna.
Era gigante, enorme, quasi sembrava si stesse schiantando contro il mondo, e investiva la città con una luce d’un lieve blu notte, un velo che scendeva sui corpi di tutti, un raggio rassicurante e misterioso, di quel mistero che non lascia paure ma speranze di gioie future, come le può generare la fede.
Mi persi a contemplarla, restando esterrefatto dalla sua presenza così vicina da poterne quasi sentire l’odore del suo terreno, ma così distante da non riuscire ad afferrarla; ed allungai la mano verso di essa, desideroso di accarezzarla, come si accarezza un volto di donna.
«Avevo ragione, visto?»
«Vedo.»
Continuavo a cercare di toccarla tangibilmente, ma non riuscendoci, ritirai il braccio per poi sorridere a quella deliziosa bambina.
«I bambini hanno molto da insegnare agli adulti. Ma...tu sei orfana? Non dovresti andare in giro per la città a quest’ora.»
«Perché? Anche tu sei in giro.»
«Ma io sono più grande di te.»
«Non ci giurerei, non sei stato nemmeno in grado di riconoscere la Luna.»
«Cosa significa?»
«Significa che hai molto da imparare.»
«Da te?»
«No affatto.»
«E allora, da chi?»
Premette il suo piccolo dito indice sul mio petto.
«Da te stesso.»
E poi mi sorrise con una semplicità e spontaneità unicamente tipica dei bambini; io abbassai lo sguardo, mi toccai il cuore con la mano destra e quando lo rialzai, lei non c’era più, né si poteva intravedere nei paraggi.
Guardai il cielo...era svanita anche la Luna.
Si andava così a disintegrare in me quella sensazione di pace che ero riuscito a raggiungere, placando il mio animo di quell’accecante ricerca che mi estenuava.

Lento, stanco e infreddolito, mi chiusi ancor di più nel cappotto, indossai ancora il cappello e ripresi il mio viaggio per quella città. Non percepivo niente ormai, guardandomi attorno, osservando quelle persone della notte che vagavano in cerca di un futuro, non percepivo nulla dell’essenza di lei...
Avevo ancora molto da imparare, forse troppo per la mia breve vita.

 

In cerca di C.F. è acquistabile su lulù.com

Nessun commento:

Posta un commento