- Il dono del lago d’Iseo -
Il freddo mi stringeva nei
suoi aghi, aghi di pino che fluttuavano al suono del secco vento autunnale,
aghi di pensieri, sottili e letali, si insinuavano in quella forma di noce
ingrandita chiamata cervello, fino a strisciare sui miei occhi e farmi vedere
cose che non avrei mai voluto vedere.
Le nuvole in cielo si
spostavano veloci: mandrie di bufali che sbattono con forza gli zoccoli per far
impaurire i passanti, ed infatti ero solo, completamente solo in quell’alba di
ghiaccio dove il Sole non era che un fiammifero acceso nell’immenso.
Sospiravo.
Gettavo aria calda, sprecavo
energia per scaldare almeno un po’ quelle mie mani, ma il freddo che avevo
dentro era impossibile da estinguere con la sola forza del mio corpo. Non
potevo. Nessuno poteva. Non in quel luogo. Non in quel tempo. Non quelle
immagini; né quegli aghi di pino, né l’alba ignorante, né i miei guanti di
lana, né la mia penna...
Provai ad imprimere la punta
di questa sulla mia mano, ora scoperta e inerme, ma la debole sfera non girò,
né l’inchiostro accennò a muoversi e ribollire sotto l’energia che le davo: era
ghiacciato.
Sospirai.
«E così sei morta anche tu in
questo spazio vuoto. In questo posto sperduto, spoglio di uomini, ma ripieno
dell’essenza di lei.»
Mi alzai lentamente
poggiandomi alla corteccia del pino che mi sovrastava, e da lì ammirai il
panorama esteso sotto i miei piedi, quel lago immenso, chiuso fra i monti
innevati, smuoveva appena la superficie lottando contro il gelo.
«Perché è venuta qui? Perché
sono venuto qui? I suoi pensieri mi sfuggono veloci. Tento di afferrarli, ma
come la luna, vicina e presente, sfuggono al tocco dell’uomo.»
Avanzai piano per quel pendio
innevato, dove i doposci affondavano in quella sorta di panna montata e,
coraggiosi, si ergevano a mia difesa, avanzando sotto i miei chiari e precisi
ordini.
Avanzai fino al lago senza
mai voltarmi indietro. Quel pino solitario richiamava la mia presenza, ma io
l’ignoravo per concentrarmi meglio sui sospiri di lei. Quell’aria condensata
che fuoriesce dalle bocche umane, aliti di vita che appaiono ai nostri occhi,
era lì vicino...lei aveva parlato in quel posto e ricercavo le sue parole,
tangibili in quella nebbia che genera il respiro.
«Cerchi. La ricerca è il
motore del mondo.»
Un’ombra s’era allungata fino
a toccare i miei piedi, un’ombra lunga con spalle larghe...immobile come una
statua di marmo.
«Ma devi sapere cosa stai
cercando.»
«Cerco le parole.»
Risposi senza voltarmi
indietro e identificare quell’ombra statica sui miei piedi.
«Lasciami andare. So ciò che
faccio.»
D’improvviso quella mandria
di bufali nel cielo scosse la terra dall’aria, un suono comunemente definito
tuono investì tutta la valle separando per un momento la superficie del lago.
Non feci in tempo ad alzare il viso che già la pioggia aveva bagnato le mie
spalle. Tutto si avvolse in un’improvvisa oscurità, un ombra enorme inglobava
quel luogo, ovattando quei già fragili raggi solari ora rialzati
dall’orizzonte. Coprii il capo con il cappuccio e correndo trovai riparo sotto
al pino che avevo lasciato su in collina; da lì ammiravo nuovamente il lago.
Quella pioggia pesante
picchiava sulla sua superficie creando tante piccole voragini, che, a loro
volta, causavano piccole onde, e tutt’insieme smuovevano le sue viscere
profonde e scure.
Lei era lì.
Nei vortici di quelle acque
aveva lasciato qualcosa di se.
Corsi al lago sfidando il
temporale, e sulla sua riva mi dissetai.
Il racconto è disponibile su lulu: In cerca di C.F.
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