- La passione di Roma -
Portava le iniziali di C.F.
ed ora che ne avevo una più tangibile forma, la mia ricerca si faceva sempre
più concreta, ma vaga, ancora troppo per poter raggiungere la fine.
Nome di gentile fragilità, di
rosso, di quel colore ambiguo che ci tinge di vita e morte, di gioia, di
passione, di libertà, era così e lo sapevo; e rossa era la sciarpa che mi
circondava il collo, ammorbidendone la pelle ed i muscoli irrigiditi dal freddo
di quel tramonto, e rosso era anch’esso, che mi sorrideva da lontano
augurandomi una buona notte; ma in cielo già splendeva sorniona la Luna, sfoggiando quelle sue
labbra di stella morta mi diceva: «Benvenuto a Roma.»
Abbassai lo sguardo, con esso
si restrinse il mio campo visivo, schiacciato sulle facciate di palazzi
antichi. Nelle orecchie risuonava l’acqua scivolata in vortici e vociare di
tantissime persone che, mi resi conto, improvvisamente mi circondavano e
schiacciavano nel loro andare frettoloso e gioioso. Non mi resi conto del luogo
in cui mi trovavo, migliaia di suoni diversi invasero le mie orecchie fino a
costringere le mani a tapparle. Ora che i suoni erano più lievi e morbidi potei
osservare con una più calma cognizione il posto che mi accoglieva con così
tanti fiati e tamburi diversi, occhi diversi che fendevano la luce e la
facevano propria.
Girando un po’ lo sguardo, un
palazzo robusto e di spalle larghe, faceva risplendere le proprie pareti di bianco
marmo, alternate da piccoli balconcini e colonne con capitelli corinzi ricchi
di foglie, ma era poco più in basso che iniziava il vero splendore.
Mai i miei occhi si
riempirono di così tanto sgomento per la completa e complessa visione di
quell’arte umana, dove l’acqua giocava fra il marmo plasmato sotto l’occhio
attento e la mente artistica e le mani scaltre di un uomo.
Cessai improvvisamente di
respirare, e man mano quel caos di gente sparì dalla mia attenzione; tolsi i
tappi che avevo sulle orecchie ed a piccoli passi mi avvicinai al piccolo bordo
della vasca, insignificante rispetto alla maestosità di ciò che racchiudeva: la
forza, l’esuberanza, la precisione folle, i miti dell’uomo, i suoni di un regno
marino affioravano da quello statico marmo e si animavano nella mia mente con
una prorompenza inaudita. Il frenetico scorrere delle acque e l’emersione da
queste dei due cavalli, uno imbizzarrito, quale simbolo della furia del mare, e
l’altro più docile, quale simbolo della pace e calma delle acque marine, viene
dominato dall’alto con grande imparzialità e fermezza da un dio: Oceano.
Imponente e maestoso, forte, come solo una divinità sa essere, rigido e agile
allo stesso momento, che, in piedi sulla
sua conchiglia, dava precisi ordini ai suoi sudditi; in lui si andava a
ritrovare tutta la pace e calma che in quella fontana si disperdeva in
dinamismo, velocità, linee curve in contrasto con gli acuti spuntoni degli
scogli.
Così, ero a Roma, scivolato
in quel mondo per ricercare C.F. un mistero avvolto da parole ed oscuro alla
mia realtà tangibile.
Roma era lì, e voleva
inghiottirmi nei suoi vortici.
Qualche passo, l’attenzione
distolta da quella magnetica visione ed ero già altrove a rovistare per vie di
bassa fama, ciò che rimaneva del suo passaggio.
I pugni stretti nelle tasche
e la mente che volava via, musiche fuoriuscite da camere da letto, mi
accompagnavano in questa ricerca mia....
«Ragazzo.»
Una donna dalle lunghe gambe
fermò quell’andare costante dei miei passi. Mi voltai piano puntando gli occhi
sul suo volto, un volto non più infantile, non più ingenuo dinanzi al mondo, e
quegli occhi suoi verde scuro, mi guardavano come si osserva qualcosa di
risaputo...pareva conoscere tutto di me, anche le parole che producevo con un
connubio fra cervello e polmoni.
Aprii la bocca.
«Sono F.V.»
Mi precedette. Ripresi fiato
e nuovamente tentai di...
«Ti vorrei parlare di
qualcosa a cui tieni.»
Mi superò, nonostante il tono
pacato e sapiente, fra un tiro di sigaretta e le sue lunghe occhiate, riusciva
a parlare in anticipo sulla mia timidezza.
«F.V. sta per...?»
Dissi sfruttando il fiato
sospeso dalla precedente affermazione rimasta inespressa, e vedendo questo mio
parlare veloce allungò l’angolo destro delle sue labbra rosse, in un sorriso
tremendamente malinconico. La sua mano sinistra scese lungo i suoi seni, lungo
il bacino, ed infilatasi nelle gambe, scostò leggermente quella sinistra.
«Secondo te?»
Mi stava dando la possibilità
di parlare, come se stesse dando un piccolo vantaggio a qualcuno che avrebbe ripreso
facilmente.
«Potrebbe...non so...“F”
potrebbe stare per...fonte?»
Lei annuì semplicemente
mentre riaccendeva la punta della sigaretta di fuoco.
«E...“V” per...Vagina?»
Scoppiò a ridere, una risata
incontrollata che ruppe quel suo apparire glaciale.
«Fonte Vagina?»
«N-no...nel senso...»
La sua risata coprì la mia
voce, tanto da non permettermi di parlare o, quantomeno, sentire i miei
pensieri.
«Potevi dire: Fonte Vaginale,
quantomeno era più sensato.»
Alzai gli occhi al cielo
scocciato, rimisi i pugni, ancora più stretti del solito, in tasca e feci per
andarmene via.
«Foglia Verde. E’ così che mi
chiamano.»
Uno dei miei passi tentennò
per un momento, poi continuò ad avanzare.
Superati un paio di lampioni
ricomparve nella stessa posizione: sicura e superba, ma questa volta non provai
neanche a ragionare sulle parole da dirle, ero certo che se mi aveva seguito e
provava ad ossessionarmi sapeva ciò che voleva da me.
«C.F. Questo dovrebbe
attirare la tua attenzione.»
Infatti lo fece. Mi voltai
verso di lei, lei sotto il cono di luce gialla creata dal lampione, io dentro
quell’oscurità metropolitana...eppure non capivo chi poteva essere la luce e
chi il buio.
«Foglia Verde, tu...»
«Io non so, mi spiace, non
conosco C.F. ma posso darti una mano.»
Aggrottai la fronte dubbioso
e F.V. mi diede subito risposta.
«C’è un uomo che può aiutarti
a trovarla, lontano da questo posto, lontano dalla Roma ideale che conosci...»
«Vicino a cosa allora?»
«Vicino ai tuoi incubi.»
Divaricò leggermente le gambe
e sorrise gettando la sigaretta in una piccola fontana d’epoca, agganciata al
muro del palazzo; mi avvicinai a lei e venni rapito dal suo profumo, fino ad
inebriarmi e lasciarmi andare sul suo morbido seno...percepii le sue carezze...
Fra le mie mani giocava un
bicchiere di vino con la sua morte, provando, secondo dopo secondo, scariche
d’adrenalina fra la mano destra e la sinistra.
Stavo seduto ad un tavolo in
legno laccato in superficie, d’un bar cui non serve ricordare l’infausto nome.
L’atmosfera di penombra e luci ingiallite dal tempo era infranta da fulmini
blu: neon che, sottili, tagliavano il soffitto legnoso formando rette
parallele; ogni tanto si accendevano ed una luce blu scuro li attraversava per
poi scomparire verso altre sale più chiassose e fumose.
L’ansia cresceva, ma tentavo
di non tradirmi, non davanti al mio interlocutore: un impassibile, invisibile e
scaltro individuo, avvolto in un ombra talmente nera da farlo quasi scomparire,
sotto quegli abiti anni ’40 che portava con fierezza. Il suo volto appariva in
lineamenti distorti al passaggio dai lampi blu, mentre la bocca, ogni tanto, si
incendiava al riflesso del tabacco del sigaro che fumava.
Era tranquillo, troppo
tranquillo in confronto alle mie mani che dimenavano il bicchiere da una parte
all’altra del tavolo; stringevo appena i denti per reprimere l’impulso di
avventarmi sul mio interlocutore che da troppo tempo si gingillava nella sua
magniloquente rudezza.
«C.F.»
Ripetei scandendo le due
lettere.
«Capisco benissimo, inutile
ripetere.»
Giocava ancora con la sua
calma contro la mia frenesia.
«C.F.»
Dissi con più decisione.
«Stai cercando di mettermi
paura?»
«C.F.»
Questa volta alzai la voce
e...
«Porca puttana!»
Si lanciò sul tavolo
afferrando il collo della polo nera che indossavo, spingendo la mia fronte
sulla sua, costringendomi ad inalare quella puzza di sigaro mista al suo poco
limpido alito.
«Sei uno stronzetto come gli
altri.»
«C.F.»
Fu un impresa parlare sotto
quegli odori vomitevoli.
Allora mi alzò dalla sedia
facendomi staccare i piedi da terra e con una forza sovrumana mi scaraventò al
suolo.
«Io non voglio giocare
piccoletto! Qui tutti sanno chi sono e nessuno...nessuno pronuncia quelle
lettere in mia presenza.»
Alzò la gamba, poi non ci
vidi più, percepivo solamente i calci ripetuti contro lo stomaco, i fianchi, la
gabbia toracica, mentre strisciavo a terra fino ad urtare contro il muro; tutti
i presenti ignorarono il fatto, poiché sapevano bene chi era quell’omone che mi
stava massacrando e nessuno voleva intromettersi in ciò cui io non potevo sottrarmi.
Lui continuò a calciarmi
finché non udì più alcun gemito di dolore; allora si chinò, avvolse la mano
destra attorno al mio collo e mi sollevò riportandomi sulla sedia del tavolo
che condividevamo; dopo un gesto minimale dei suoi occhi ad un cameriere,
arrivarono in tavola due bicchieri ed una bottiglia di whisky. Se ne versò
subito un po’ buttandolo giù d’un fiato prima di ordinarmi di fare lo stesso.
«Bevi.»
«Senta signor...»
«Non! Non dire il mio nome.»
«Bene. Signore, io sto
cercando quella cosa e la sto
cercando disperatamente, ne va del mio futuro, ne va del mio essere me;
e...scusi se non bevo, ma non sopporto questo genere di alcol.»
«Un uomo che non beve ma
cerca C.F. è ridicolo.»
«Ne va della mia essenza.»
«Ed io perché dovrei
aiutarti?»
«Perché chiunque intraprenda
questo viaggio è cosciente di ciò che vuole, di ciò che affronterà.»
Estrasse cautamente un
sigaro, dato che l’altro aveva deciso di buttarlo, dalla tasca della giacca e
l’accese con maestria. Dopo una boccata d’aria “pura” riprese a parlare con
tono più calmo.
«Ma tu non sai cos’è C.F., è
il limite, l’estremo, la punta finale del riscatto...dopo C.F. non c’è che la
morte.»
«Sto già morendo, che
differenza c’è nell’accelerare il processo o mantenerlo uguale?»
Annuì piano gettando fuori il
fumo del sigaro e, contemporaneamente, buttar giù un altro bicchiere di whisky
come se stesse bevendo acqua.
«Va bene ragazzino. Lasciami
la notte per pensarci, ti farò sapere.»
Si alzò afferrando il
borsalino poggiato sul tavolo, ma la mia mano lo fermò.
«In che modo?»
«Io so sempre dove cercare
chi voglio trovare, ho tanti occhi maliziosi e deliziosi in città. Arrivederci
viaggiatore.»
«Arrivederci.»
Arrivederci Roma,
Per queste strade che sanno
di smog la gente cammina indisturbata dalla presenza altrui, quasi ignara
dell’altro, poiché si è in troppi in questa strada enorme dove si suda, mentre
in alto i lampioni si ghiacciano.
I palazzi, di mura secolari
lavorate da mano d’artista, ci spalleggiano nell’andare, salutando ogni persona
per ogni piano, per ogni vaso fiorito esposto sui corti balconi.
Città di tanto, di troppo,
vasta più dell’orizzonte dei nostri occhi, non tutti sanno cogliere cosa c’è in
una delle tue piazze nascoste dalle guide turistiche, offuscate dalla
magniloquenza di quelle opere raffinate che tutt’oggi ti rendono Roma...ed il
tuo nome fa tintinnare di gioia i sogni di persone che neanche conoscono la tua
lingua.
Il centro è un cuore
pulsante, a volte nero, cui si cammina ignari del fatto che si sta
attraversando il tempo, le epoche, i millenni, dove uomini cui solo il nome ci
rende orgogliosi d’essere Italiani, hanno vissuto nelle grandi imprese, così
come nelle piccole quotidiane avventure, la loro vita.
C’è sangue per queste strade
cementificate, c’è poesia nei tuoi caratteristici pini, c’è musica nei teatri
avvolti da mantelle rosse dove un ragazzo aspetta l’inizio dell’opera e qualcun
altro desidera fotografare quell’attesa ansiosa di recepire Arte.
Di rosso si tinge la sera
sulle arterie di questa Roma compulsiva e frenetica, dove auto di ritorno,
svuotano uffici, scuole, università, centri, per raggiungere i focolari
domestici lontani, in quei quartieri dove quasi si ci dimentica d’essere a
Roma.
La notte arriva, ma quasi
nessuno se ne rende conto, troppi impegni tengono lontane queste persone dalla
realtà, ognuna è costretta a vivere nel proprio guscio, per riuscire a portare
a casa qualcosa...che sia pane, che sia gioia, che sia stanchezza o la solita
emicrania metropolitana, o mali, mal di città.
Hai tanti volti, Roma, e
nella notte lentamente spegni le luci dei quartieri, mentre la folla si riversa
nei vicoli casalinghi di Trastevere e qualcun altro guarda le stelle, che
questa città ha creato, dall’alto del Gianicolo...mentre ciò accade io, io come
altri, ti sogniamo, rivedendo in te il mondo che ci ha salvato, rivedendo sul
tuo nome la sporcizia che ci offre la vita, così come la bellezza...ed in
questo io ti ringrazio.
Chi non ti ama, chi non ti
cura, chi ti rinnega, non ha abbastanza spirito per poter allargare le sue mani
sulla tua natura quasi divina.
Delle piume volavano sul mio
corpo, le loro carezze rinfrescavano il mio spirito, placavano il mio corpo, mi
rendevano felice d’esser uomo....
F.V. accarezzava il bordo
d’un bicchiere poggiato sul davanzale della finestra dalla quale osservava gli
altri camminare e compiere i propri doveri quotidiani; fu la prima cosa che
vidi quando mi svegliai sotto un caldo piumone, su di un letto che non
conoscevo. Lei si voltò verso di me dandomi il buon giorno e quel viso non mi
parve mai così tanto pulito e ingenuo, ingentilito dal sole mattutino, lì dove
l’innaturalezza del lampione la rendeva più vecchia e volgare. Di risposta le
sorrisi stropicciandomi gli occhi ancora appesantiti dal sonno.
«Hai passato una buona
notte?»
«Si.»
«Bene. Meglio così.»
«E tu...come stai?»
Aveva appena ripreso a
guardare le persone sulla strada quando a quella domanda, si girò sorpresa e si
avvicinò con gentilezza, facendo ondeggiare quella sottile vestaglia verde
scuro, come i suoi occhi, pronta a far vedere ciò che si celava sotto.
«Interessa a qualcuno?»
«A me.»
«Già...»
Si avvicinò baciandomi la
bocca, con la stessa attenzione e passione con cui una ragazza bacia il proprio
amore per la prima volta.
«Hai un animo gentile. Perché
vuoi cercare C.F.?»
Le scostai i capelli dal viso
avvolgendolo con entrambe le mani.
«Devo farlo, se non
raggiungerò il mio scopo, una parte di me morirà. Ma tu...tu invece, perché
fai...»
Mi zittì baciandomi ancora,
piano, sfiorandomi appena; poi, alzandosi dal letto, allacciò la sua vestaglia.
«Vado a prepararti un caffè.»
C’è gente che s’innamora
facilmente...io sono una di queste persone e, parlando della mia personale
esperienza, non m’innamoro facilmente per una mancanza di sensibilità o di
percezione dell’amore, ma per un acuta percezione di esso, per un’acuta
percezione della bellezza che so scovare con maestria, e non parlo
esplicitamente di bellezza estetica, ma della bellezza in generale, quella che
oserei scrivere con la “b” maiuscola: Bellezza. Chissà se era amore ciò che
provai nei confronti di F.V. , se quel mio osservarla in vesti umane, lontano
dalla strada che comandava con sguardo superbo, per far fronte a uomini senza
pudore, sporchi fin dentro il corpo, dalle idee distorte, dai modi maneschi e
padroneggianti, mi avesse fatto comprendere quanta semplicità bastava per
renderla una persona amabile al di fuori degli affetti fisici. Chissà se mi
innamorai di lei per quella risata spontanea, per il modo in cui sapeva
osservarmi, per il modo in cui respirava vicino a me e...in qualche modo, mi
amava e mi amò per tutta la notte.
In lei ritrovai molte
caratteristiche ricercabili in C.F., molte delle quali erano genuine e
pericolose come il Fiore d’Adone.
«Da piccola non vivevo qui.»
Disse mentre indossava
vestiti giornalieri e comuni.
«Stavo in una
città...indefinibile. Non importa il suo nome, ma ricordo che un giorno
incontrai un giovane ragazzo.»
Sorrisi intuendo che stava
parlando del suo primo amore.
«Sì, in un certo senso fu il
mio primo amore...anche se allora non conoscevo questa parola e pertanto...non
potei dirglielo.»
Non fui sorpreso nel sentire
queste parole, lei aveva sempre saputo precedere i miei pensieri.
«Insieme guardammo la
Luna. Fu magnifico.»
Andai via sul tramonto, dopo
aver trascorso tutta la giornata in sua compagnia, lei che mi seppe consigliare
come trovare C.F. e mi regalò, sul nostro addio, un bacio da donna che non
dimenticherò mai.
Ciò che scoprii era che il
mio obbiettivo era ancora molto lontano, altrove, più a sud di Roma, in un’improbabile
paesino cui non avevo mai sentito parlare, ma da allora quel suo nome mi entrò
in mente, come fosse il mio stesso nome.
- Se è la prima volta che leggete "In cerca di C.F." vi rimando ai capitoli precedenti: