giovedì 9 ottobre 2014

Nell'anno 2014 di nostra vita...



Io dico: addio.

Io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite,
riflettori e paillettes delle televisioni,
alle urla scomposte di politicanti professionisti,
a quelle vostre glorie vuote da coglioni...
E dico addio al mondo inventato del villaggio globale,
alle diete per mantenersi in forma smagliante
a chi parla sempre di un futuro trionfale
e ad ogni impresa di questo secolo trionfante,
alle magie di moda delle religioni orientali
che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero,
ai personaggi cicaleggianti dei talk-show
che squittiscono ad ogni ora un nuovo "vero"
alle futilità pettegole sui calciatori miliardari,
alle loro modelle senza umanità
alle sempiterne belle in gara sui calendari,
a chi dimentica o ignora l'umiltà...


Un anno fa, pienamente indignato, scrissi questo articolo, sperando che qualcosa si sarebbe mosso, che non avrei più dovuto udire notizie di scene di discriminazione e invece non è stato così. Dagli scempi verbali e fisici delle tifoserie calcistiche degli “eleganti” club italiani, fino alle tacite proteste degli ultimi giorni contro gli omosessuali, nulla è cambiato. Si continua a scrivere “Rispetto” sulle maglie dei giocatori, si fanno spot pubblicitari contro il razzismo, ma a partire dal governo fino al più bigotto di questo paese, l’odio verso chi viene giudicato “diverso” cresce sempre più. La crisi economica, la crisi dei valori, la crisi dei governi, la crisi dei popoli ecc. è tutto un mondo che va verso questa parola e sotto di essa sgretola anni ed anni di parole spese a favore dei diritti dell’uomo! La gente si sveglia ogni mattina sempre più egoista ed egocentrica, dai condomini fin nelle strade, gli atti del vivere civile vengono calpestati, violentati, così come la religione, e uomini immortali nel loro insegnamento, come Gandhi, vengono usati, irrispettosamente, per compiere e promulgare idee che vogliono creare solo scissione e razzismo, odio... e questa è una delle cose che più mi fa male.
E’ un mondo che va in crisi: ebola, Isis, elezioni per promuovere la scissione delle nazioni, le tensioni in Ucraina ecc. ed in tutto ciò l’uomo ha perso la sua integrità, perdita dovuta a così tanti fattori che è impossibile elencarli tutti, ma le principali cause sono sempre le stesse: Stato, Scuola, Famiglia (Dotti, medici e sapienti); da quest’ultima partono i primi insegnamenti ai ragazzi che poi verranno affidati nelle mani di maestre e professoresse nel percorso scolastico, il tutto condizionato, inevitabilmente, dalle scelte e dalla propaganda che dal governo si irradiano per tutta la penisola.
Quando scrissi quell’articolo, circa un anno fa, era stato in virtù d’una esperienza vissuta in prima persona e della notizia di un ragazzo malmenato in una fiera del fumetto; oggi sono spinto a farlo a causa delle sevizie e delle torture che un ragazzo di soli quattordici (14) anni ha dovuto subire a causa del suo peso corporeo. Non è mia intenzione scendere nei dettagli della tortura che ha subito, quelle sono parti riservate ai giornalisti per aumentare l’audience, a me interessa solo far emergere il livello d’intolleranza che c’è nel paese e non solo oggi! Ogni giorno tantissimi ragazzi sono vittime di più o meno gravi atti d’intolleranza, per i più sporadici motivi, esperienze che spesso si maturano nelle scuole e che segneranno per sempre la vita del povero malcapitato, ne modificheranno il pensiero, l’atteggiamento, il suo modo di porsi al mondo, ma niente viene fatto per rimediare a tutto ciò. I telegiornali aspettano solo la notizia bomba per parlare di questo problema, ignorandolo in tutti gli altri casi; i professori non fanno niente (pur sapendo) per tentare di arginare queste piccole o grandi sevizie di cui, molto spesso, loro stessi sono vittime, perché incapaci di poter tenere a bada degli adolescenti a cui tutto è concesso ed a cui i genitori perdonano ogni comportamento. I pochi casi in cui un professore decide di chiamare la famiglia del bullo di turno, questi contestano le parole dell’insegnante e addirittura arrivano ad accusarlo. Allora è giustificabile il loro comportamento di tacito assenso che li fa diventare vittime e complici di tutto ciò.
E lo Stato?
Lo Stato è il primo che da anni ormai continua a promuovere tutto ciò, una campagna d’odio continua basata sui sorrisi e tutti, sotto questi governi incapaci, sono diventati un po’ quel Gwynplaine di Victor Hugo, perché in questa oscurità, si illudono con loro stessi e con gli altri d’una falsa felicità, oppure perché si è diventati vittima delle propagante positiviste e degli spettacoli demenziali dati in tv e sorridiamo, sorridiamo sempre, perché non vogliamo pensare a cose brutte, perché a Sanremo non si deve parlare di società e politica, perché il Grande Fratello...
Perché vogliamo cancellare la realtà e far finta che tutto vada bene! Un po’ alla Fahrenheit 451 (per citare un altro libro).

Mi chiedo quando si riaccenderà il lume della ragione e della bontà umana che mi pare destinata a chiudersi sempre più nel suo mondo, nei suoi schemi, non rendendosi neanche conto dell’esistenza altrui e anteponendo il proprio benessere a quello degli altri, non capendo che basterebbe così poco per cambiare tutto, basterebbe una manciata, una semplice e piccola manciata di bontà verso il mondo, per renderlo un posto migliore!
Se prima era Libera nos domine oggi voglio dire Addio, addio per tutti quelli che sono costretti ad andarsene dal proprio paese o per necessità o perché: «non ci hanno lasciato cambiare niente e allora gli ho detto: “avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice!”».

Io dico addio...
a chi si dichiara di sinistra e democratico
però è amico di tutti perché non si sa mai,
e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico
ed è anche fondamentalista per evitare guai
a questo orizzonte di affaristi e d'imbroglioni
fatto di nebbia, pieno di “sembrare”,
ricolmo di nani, ballerine e canzoni,
di lotterie, l'unica fede il cui sperare...

martedì 7 ottobre 2014

Romics d'autunno 2014


L’edizione del Romics autunnale 2014, anche quest’anno, si conclude con un misto di malinconia e serenità, direi che la frase classica che più si sposa con la situazione è: «Tornammo a casa, stanchi ma felici.»; alla fine non resta che prendere il solito bus, tornare a casa, entusiasmarsi per gli acquisti fatti, emozionarsi nel rivedere quelle fotografie che già parlano di un passato distante (pur non essendolo realmente), relegato a un qualche spazio-tempo lontano, a qualche mondo parallelo, e poi il pesante sonno porterà al risveglio nella realtà quotidiana.
Ciò che resta sono bei ricordi.

Il Romics, principale fiera dell’animazione, del fumetto e dei giochi di Roma, si impone ancora come punto nevralgico per i veri appassionati del genere, non solo per la sua grandezza ed il suo pubblico appassionato, ma anche per i tanti nomi importanti che si susseguono di anno in anno per il Romics d’oro, portandosi poi agli stand per autografare o dedicare un disegno ai propri fan. Posso affermare che il Romics d’autunno può gareggiare benissimo per un secondo posto nella classifica delle più importanti fiere d’Italia, dove, in modo scontato ormai, al vertice si trova Lucca Comics, l’evento per eccellenza! Con cui poco si può gareggiare, visto che Lucca genera un vero e proprio carnevale all’interno della sua città vecchia; ma il Romics non è da meno, almeno nella gara Cosplay, che, indubbiamente, è la più importante d’Italia. Solo nel Romics autunnale, infatti, si può gareggiare per puntare al EuroCosplay oppure al World Cosplay Summit (WCS), il quale dà al partecipante, la possibilità di passare due settimane in Giappone e gareggiare a livello mondiale. Con orgoglio posso dire che l’Italia vanta vari premi in questa competizione!

Il Romics si svolge, ormai da anni, alla Nuova Fiera di Roma, in una struttura ottima (a mio avviso) per lo svolgersi dell’evento, perché concilia i classici capannoni ben areati (seppur quando sono pieni di gente non basta neanche tutta l’aria condizionata e le porte aperte per far cambiare bene l’aria) e notevolmente grandi, che occupano stand di fumetti, merchandising vario e l’area giochi e film, mentre un terzo capannone è dedicato interamente all’accoglienza del pubblico per la gara Cosplay, ad aree esterne ricche di giardini, viali e corridoi esterni ma sempre ben coperti per il sole e la pioggia; ma non mancano nemmeno aree dove si estendono grandi terrazzi scoperti. Insomma, sia con la pioggia che col sole, la Nuova Fiera di Roma dà la possibilità a tutti di divertirsi all’aperto o al chiuso.
Una nota più dolente devo dedicarla ai trasporti che tanto nel quotidiano che nello straordinario a Roma, capitale d’Italia, fanno pena. Il mezzo che porta all’evento è il treno che va fino a Fiumicino Aeroporto, che, nei giorni normali, basta per caricare, trasportare e scaricare le varie persone, ma nel periodo fieristico la frequenza dei treni è evidentemente troppo bassa per l’enorme e crescente numero di persone. Personalmente ho dovuto più volte far partire un treno e aspettarne un altro, ma altre persone ne hanno saltati addirittura due o tre, perché sempre pieni di persone dirette al Romics. Per non parlare del disagio che si viene a creare per chi, con almeno un paio di valige, deve recarsi all’aeroporto in tempo per il check-in! Insomma, un vero disagio per tutti.
Spero che prossimamente Trenitalia e il comune di Roma si mettano strettamente d’accordo per far transitare molti più treni e mettere una forza dell’ordine che controlli le banchine delle varie stazioni, dove i ragazzi si accalcano, spesso, oltre la linea gialla, per cercare di entrare prima; magari accompagnare questa figura con quella di un controllore, che, direttamente sulla banchina chiede o fa il biglietto ai viaggiatori, com’è accaduto nel mio ritorno verso casa. Su questo argomento ho idee ben chiare: è giusto pagare il biglietto e farlo pagare, ma che, in compenso, ci siano servizi adeguati alla situazione, specie per chi deve andare all’aeroporto pagando (per sole due fermate in più) un biglietto di 8€ (quando fino a Fiera di Roma basterebbe quello da 1,50€) e trovando un servizio inefficiente che li fa arrivare in ritardo. D’altronde il Romics è un guadagno che non va solo in direzione della fiera, ma anche di tanti altri elementi: luoghi in cui albergare, mezzi pubblici e privati ecc. per questo deve essere fortemente sostenuto e incentivato.

Ma torniamo all’evento in sé: stando ben attenti si possono cogliere ottime occasioni di prezzi; seppur quest’anno ho trovato l’articolo che mi interessava a prezzo pieno, ho visto e constatato che si possono fare buoni affari, specialmente a fine fiera.
C’è una bella sezione games, anche se in parte a pagamento, dove si possono non solo (ri)provare quelli vecchi che si trovano nelle, ormai rare, sale giochi, ma anche i nuovi usciti per poi essere proiettati verso il futuro in un mondo tridimensionale!
Si praticano i tornei di spada, liberi o a pagamento, si seguono i corsi per imparare le tecniche base della spada laser o di quelle più classiche; in più, quest’anno un angolo era dedicato all’anniversario di Ghostbuster! Dove, chiunque, gratuitamente, poteva provare l’attrezzatura per sconfiggere e catturare i fantasmi! Un vero sogno per chi è cresciuto negli anni ’80 o ’90.

Oltre la vasta gamma di gadget, modellini, action-figure e fumetti (che spaziano tutti dai più vecchi, all’artigianato, ai più moderni di ultima uscita) c’è la sezione dedicata ai film e telefilm, dove numerosi cartelloni espositivi, a volte fatti appositamente per le fotografie (come quello dei Guardiani della galassia, dove la gente poteva mettersi in mezzo ai protagonisti e scattare la propria foto segnaletica), e tanti stand che ricostruiscono i luoghi tipici o emblematici di un determinato telefilm, fanno catapultare gli spettatori nel mondo dei loro amati personaggi come: sedersi sul trono di spade, entrare nel mondo di Star Wars o Star Treck, salire su uno dei tetti di Gotham accanto al bat-segnale ecc. il tutto in compagnia di bellissimi cosplay, che renderanno le fotografie ancora più belle e vere. Inoltre, al centro di quest’area, si erge un piccolo palco su cui salgono vari ospiti legati specialmente alle serie tv e dove vengono proiettati gli ultimi trailer dei film d’imminente uscita più apprezzati dal pubblico di Romics.
Una nota dolente è stata l’assenza di un concerto (o, almeno, non ho saputo niente a riguardo), che prima era collocato verso la fine della gara cosplay, quando i giudici si radunavano in separata sede per deliberare e molte volte ci impiegavano anche un’ora! Così, quello spazio “morto” diventava il momento più vivo e carico d’adrenalina di tutte le giornate di fiera! Era bellissimo, dopo un pomeriggio passato a guardare la gara cosplay, poter riprendere vigore sotto le note delle sigle animate. Il bello di questo evento era che spesso si trasformava in una vera e propria festa improvvisata. Indubbiamente il finale migliore per un evento così importante!
L’assenza di tutto ciò e la conclusione del Romics con la semplice gara e premiazione lampo, soddisfa, ma non in pieno. Hanno tentato di rimediare all’assenza di musica live con un karaoke, ma è del tutto differente l’impatto sul pubblico di un cantante più o meno bravo e sconosciuto, rispetto ad uno affermato col quale si è cresciuti ascoltando le sue canzoni. Lo dissi anche nella scorsa recensione e lo ribadisco: reintroducete il concerto finale e l’assegnazione dei premi solo alla fine delle varie esibizioni, in altre parole, fate come prima.
Passiamo alla nota più interessante di ogni fiera del fumetto: il cosplay!

Sono andato solo nel week-end, proprio perché sono i giorni dove si possono trovare più cosplay, ma, a vista, il sabato erano molti di meno rispetto al solito, nonché tantissimi Cosplay fatti veramente con poco, giusto per prendere lo sconto all’entrata, mentre la domenica c’era un vero e proprio tripudio di costumi!
Il Romics, come tutte le fiere dello stesso genere, può servire anche a vedere le tendenze generiche ed accanto a cosplay prima diffusissimi, ora ridotti a pochi esemplari o addirittura spariti (p.es. Misa, Naruto, Sampei, Tomb Rider ecc.), si può notare un incremento sempre maggiore di cosplay tratti dai videogiochi e da serie animate/film spesso poco conosciuti o addirittura mai doppiati in italiano; effetti della rete. Infatti, nelle prime mie esperienze al Romics (risalenti al 2009) notavo un gran numero di cosplay relegati ai cartoni anni ‘70/’80/’90, insomma quelli dell’infanzia di tre generazioni o più, spesso rivolti ai prodotti giapponesi, mentre i Disney venivano usati ma in minore quantità; oggi gran parte dei cosplay di quelle annate sono spariti o ridotti, mentre i Disney o Disney-Pixar (con mia grande felicità) hanno preso man mano piede, tant’è che nella giornata di sabato quelli erano i più interessanti da fotografare. E’ interessante notare, in questo ambito, come un cosplay quasi abusato come quello di Merida, in questa edizione sia diventato improvvisamente più raro, sostituito a gran voce dai vari personaggi di Frozen, in particolar modo Elsa e Anna.

Per quanto riguarda nel nuove tendenze va menzionato anche Il trono di spade, serie ormai popolare che ha conquistato tantissime persone!
Per vedere i migliori, non solo nella realizzazione del costume, ma anche nell’interpretazione del personaggio, però, bisogna attendere la domenica pomeriggio, quando la gara cosplay inizia! Il livello quest’anno è stato notevole ed a vincere è stata la coppia che ha portato sul palco del Romics due evangelion, la cui fattura del costume, unita alla mobilità, era veramente impressionante! Sono sicuro che porteranno alta la bandiera del cosplay italiano anche a Nagoya, al WCS.

Quasi scontato, ma giusto, ricordare che la presenza di cosplay legati al mondo DC, Marvel o Lucas, è perennemente al top! Bellissimi costumi e interpreti, nonché la consueta parata del mondo di Guerre Stellari, con Jedi e Sith con i rispettivi stendardi!

In conclusione: il Romics d’autunno rimane una piccola perla nel suo ambito, ma avrebbe bisogno di ritrovare alcuni elementi che la facevano ancora più bella e introdurne di nuovi, come più attività per i partecipanti (che non siano per forza a pagamento), come una cerca al tesoro o un gioco di ruolo live, insomma, mancano questi piccoli, ma importanti, coinvolgimenti (fra cui il concerto) per rendere la fiera, veramente ottima!
Tutto ciò mi è stato anche confermato da un Gesù (cospaly) che scalzo e pio si è diretto al Romics a piedi; e se lo dice lui...
Ultima notizia: è nata ExPlay, che, a quando ho capito, è una crociera riservata ai soli Cosplay. Su una bellissima nave si solcherà il mediterraneo per una settimana, toccando varie città italiane e non, facendo, ad ogni attracco, una vera e propria invasione delle città in cosplay!



Impressioni sul Romics passato...
Autunno 2013
Primavera 2013

lunedì 22 settembre 2014

La bellezza dei cortometraggi - Vol.1

Di recente ho trovato una lista che contiene i 150 prodotti dell’animazione più belli del mondo, fatta da 140 critici cinematografici e persone che lavorano nell’ambito dell’animazione; al di là di ciò che può essere la classifica stessa, chi sta al primo posto e chi sta all’ultimo, ciò che ha destato più curiosità in me è stato quello di scoprire la bellezza dei cortometraggi d’animazione provenienti da ogni parte del mondo, che sfruttano le tecniche più disparate e traggono da storie piccole o grandi qualcosa che deve stupire lo spettatore in un tempo compreso fra i 15 ed i 30 min. Vedendoli sono stato rapito dal loro mondo e modo di raccontare, in un mondo in cui l’animazione va lentamente globalizzandosi, quelle piccole storie, così disparate nella loro realizzazione e nel loro messaggio, non potevano lasciarmi indifferente. Così, dopo averne visionato un piccolo gruppo, ho pensato che queste opere rimaste con un pubblico esiguo, dovevano in qualche modo tornare negli occhi delle persone e seppur il mio contributo è minimo, potrebbe avere effetti piacevoli.
 
L’uomo che piantava gli alberi (1987) di Frédéric Back: il cortometraggio copre un lungo lasso di tempo, da poco prima della prima guerra mondiale fino alla fine della seconda.
Sulla voce narrante del protagonista si svolge la vicenda di quest’ultimo e di un uomo, un eremita o qualcosa di più, che compì un vero e proprio miracolo. Il protagonista, camminando su per le Alpi (francesi si presuppone), non incontra altro che terre aride, battute dal vento e dal sole, villaggi abbandonati, fontane aride come i letti dei fiumi, insomma, un posto in cui la morte cammina ogni giorno e quest’atmosfera arida e secca si rispecchia anche sui pochi villaggi abitati, villaggi piccoli, sperduti fra le montagne, in cui la concorrenza alla vendita del carbone e le stesse condizioni meteorologiche consumano le loro menti e le loro vite, ma in questo luogo di perdizione, in cui i vizi e le virtù si combattono fra di loro e gli uomini sono vittima di follia (spesso omicida) vive un uomo divenuto solitario eremita, la cui unica preoccupazione era quella di piantare alberi laddove non crescevano più. I due si conoscono ed il loro rapporto, nelle visite che durante gli anni il protagonista fa all’eremita, calcificano l’ammirazione immensa del primo verso quest’ultimo.
Il cortometraggio strutturato da disegni essenzialmente semplici, ma capaci di incidere emozioni forti nello spettatore, diventa, minuto dopo minuto, sempre più interessante e coinvolgente, perché quasi sembra impossibile la missione dell’eremita contro una natura che era diventata avversa alla vita, ma non alla rinascita.
Il messaggio del film è chiaro, semplice ma allo stesso tempo aulico: si parla di un uomo la cui opera viene accostata a quella di Dio, si parla di come la natura reagisca all’opera umana e in conseguenza di ciò può diventare benevola o maligna.
Ciò che colpisce nella narrazione è la stessa voce narrante che riesce sia a trasmettere la pace, il silenzio dei luoghi dell’eremita, sia la brutalità di quei luoghi sopracitati. Il cambio di tono e di espressività che si ha nella versione originale ha un forte impatto, perché non vi è un climax crescente che fa intuire questo cambio, ma è repentino e deciso ed è probabilmente ciò che il regista stesso voleva, incidere in modo brutale la serenità dello spettatore per poi fargli ritrovare la pace. In effetti, nessun’altro posto sembra così pacifico come quello in cui vive l’eremita.
Ci sarebbero tante altre cose da dire o da rivelare, ma per non svelare il finale o alcuni accadimenti, preferisco non andare oltre.
 
Crac! (1981) di Frédéric Back: un’altra storia semplice ma alquanto emozionante è Crac!, dove il regista Back utilizza sempre la stessa tecnica di disegno e colorazione con le matite, tecnica che sa ben utilizzare, poiché da leggerezza alle immagini ed in una storia come quella narrata in questo cortometraggio, la leggerezza fiabesca deve esserci. Si parla, essenzialmente, della vita di una sedia a dondolo, ricavata da un albero e costruita da quello che sarà il suo stesso proprietario. La sedia sarà al centro di tutte le vicende della famiglia, diventerà sedia su cui cullare i figli del suo costruttore, e tramite quest’ultimi diventerà, un treno, una macchina, una barca, sarà di conforto alla famiglia e presente in tutte le fasi più importanti, verrà riparata e riutilizzata, finché verrà gettata via perché considerata vecchia; ma la sua storia non termina fra i rifiuti, anzi, da lì un nuovo posto l’attende, per scivolare in un finale musicale allegro.
Proprio la musica, musica popolare francese, accompagna tutto il cortometraggio, dandogli ancora più leggerezza nella visione e valorizzando ogni momento. Preponderanza musicale che non ritroviamo ne L’uomo che piantava gli alberi, dove alla musica si sostituisce il suono del vento, dell’acqua ed i rumori domestici o, comunque esterni. Si capisce il perché di questa scelta, sono due storie narrate in modo completamente diverso; seppur entrambi sono appetibili per pubblici di età differente, quello del ’87 affronta una tematica più seria.
 
Jumping (1984) di Osamu Tetzuka: lo sperimentalismo è sicuramente una delle caratteristiche che ammiro di più nei cortometraggi d’animazione e Osamu Tetzuca, soprannominato “Il dio dei manga”, entra a far parte degli sperimentalismi. In Jumping il protagonista resta sconosciuto, non si sa se veramente c’è qualcuno o semplicemente sia lo spettatore fuso indissolubilmente con la macchina da presa; infatti, in una soggettiva costante, che dura anche nei titoli di coda e di testa, lo spettatore, assieme all’ideale macchina da presa, salta continuamente, egli è capace di spiccare salti lunghissimi e altissimi, tanto da fargli, per esempio, saltare l’intero oceano! E’ straordinario l’effetto visivo finale, c’è un diretto coinvolgimento nell’azione, che nasce dall’unione della voglia di saltare e scoprire nuove cose e quel pizzico di paura e adrenalina che si ha nel ricadere in basso. Semplice ma assolutamente geniale! Personalmente mi ha trasmesso non solo un estremo coinvolgimento nell’azione, ma ha risvegliato molti ricordi d’infanzia, di cadute ma specialmente di salti sui materassini elastici. Non so se anche questo era fra le intenzioni del regista, cioè riportare gli spettatori adulti ad una condizione infantile e stuzzicare nei bambini il loro divertimento nel saltare.
 
The old man and the sea (1999) di Aleksandr Petrov: specie da quando vidi dei concept del film d’animazione Rapunzel, il mio desiderio di vedere un lungo o cortometraggio realizzato con la pittura è aumentato sempre più fino a quando mi sono imbattuto in The old man and the sea quest’opera straordinaria che ricalca il già emozionante libro di Hemingway. L’estrema lotta fra il pescatore ed il pescespada, il rispetto reciproco, la condizione umana, l’ultimo atto di gloria di un abile marinaio e pescatore: azione, filosofia e sentimenti si mescolano nelle pennellate di Aleksandr Petrov, che lo condurranno ad ottenere l’oscar.
La resa scenica è fantastica ed anche l’animazione, seppur visibilmente scandagliata, rende molto bene le situazioni più movimentate. Le emozioni del pescatore sono rese alla perfezione da questi quadri in movimento e da una recitazione straordinaria del suo doppiatore originale. Non serve dire altro su questo piccolo capolavoro dell’animazione sperimentale: l’ottima regina, l’ottima sceneggiatura e le immagini servono su un piatto, non d’argento, ma d’oro, un cortometraggio eccezionale.
La tecnica usata è il paint-on-glass.

Con ciò concludo il primo articolo sui cortometraggi che spero vi abbia stuzzicato il desiderio di vederli.

Di seguito i link per guardare i cortometraggi su YouTube:
L'uomo che piantava gli alberi
Crack!
Jumping
The old man and the sea

mercoledì 3 settembre 2014

Una speranza per il disegno a mano

Il mondo dell’animazione sta lentamente venendo fagocitato dall’animazione in CGI, specie da quando case produttrici come la DreamWorks e la Pixar hanno conquistato le attenzioni del pubblico con le loro storie, così tanto da mandare in crisi la Disney stessa che vedendosi soffiare il posto di prima classe nei cinema, inizia a concepire interi lungometraggi con la tecnica computerizzata, mentre prima era usata solo come supporto all’animazione tradizionale (il tappeto di Aladdin, la mandria inferocita de Il re leone, la sala da ballo di La bella e la bestia ecc.). Così nascono lungometraggi come:


 ma ancora con scarso successo al botteghino, visto che la concorrenza, in quegli anni faceva uscire:

La Disney, con un cambio gestionale, decide di puntare nuovamente sul disegno a mano, cosa che salva il film Mucche alla riscossa, dall’imbarazzante incarico di essere l’ultimo classico a tecnica a mano della Disney; ma reduce da un decennio malandato, il nuovo film La principessa e il ranocchio, nonostante l’ottima qualità della storia e della realizzazione, non basta per scalfire lo scetticismo generale, cosa che avverrà con il film in CGI Rapunzel – L’intreccio della torre. Il successo di quest’ultimo lungometraggio darà il colpo di grazia al disegno a mano, imputandolo come unico e solo responsabile dello scarso consenso di pubblico e critica, cosa confermata al 100% con l’ultimo Frozen – Il regno di ghiaccio. Insomma sono sempre le principesse a sancire una svolta nel mondo Disney (accadde lo stesso nel 1989 con La Sirenetta) ma questa volta in CGI.
Dinanzi a questo scenario, gli amanti del disegno a mano, che ha dato vita a capolavori assoluti senza tempo né età, possono trovare l’unico appoggio in Miyazaki, il quale non ha mai barattato la sua matita per una tavoletta grafica; ma purtroppo ecco che anche lui da il suo addio con il film Si alza il vento e lo Studio Ghibli chiude i battenti (almeno per il momento).
Le grandi case di produzione dallo Studio Ghibli alla Walt Disney, dalla DreamWorks alla Toei Animation si sono piegate alla computer grafica. 
 
Ma non disperate! Il mondo è ancora in fermento sull’argomento, lo dimostra il candidato all’oscar Ernest e Celestine oppure i vari cortometraggi Disney da Paperman all’ultimo Tutti in scena, fino all'imminente Feast
C’è ancora voglia di far innamorare le nuove generazioni di quella tecnica artistica e stupenda che è quella del disegno a due dimensioni, fatto a mano. Ad accompagnare questo progetto di riscatto ci sono alcuni animatori (con un curriculum alle spalle notevolissimo) che tramite indiegogo.com vogliono creare uno o più cortometraggi ritornando all’animazione 2D, fondendola con lo steampunk, il progetto ha il nome di Hullabaloo!


In pochi giorni hanno già raggiunto l’80% del budget di base, ovvero 80,000$
Ma non finisce qui! Se si supererà il budget di base si avranno altri obbiettivi:
- A 140,000$ creeranno un nuovo cormometraggio dal titolo Curse of the Cheshire Cat
 
- A 160,000$ potranno produrre un soundtrack full-orchestra per i cortometraggi
- A 225,000$ si creera un altro cortometraggio dal titolo The Mysterious Island
Il progetto è fondato sul crowdfunding, un sistema di raccolta fondi che consente agli artisti (ma non solo) di liberarsi dalle catene dei produttori, i quali spesso impongono delle precise strade da seguire per ottenere il massimo profitto, spesso trascurando l’aspetto qualitativo. Io credo molto in questo metodo ed in questo progetto, nel quale, a seconda della vostra donazione, avrete in cambio anche qualche omaggio da parte dello staff, dai semplici ringraziamenti, passando per vari e interessanti gadget, fino ad arrivare ad essere inseriti come veri e propri produttori del corto nei titoli di coda.
Dunque, se il progetto vi piace potete contribuire alla sua realizzazione con meno di 1€ oppure di più; potete entrare a far parte di una piccola svolta nel mondo dell’animazione! 

lunedì 1 settembre 2014

Il giorno prima della partenza



Il giorno prima della partenza che sancisce la “fine” delle vacanze e l’inizio del nuovo anno accademico è sempre devastante. Nonostante si sia rimasti a studiare anche sulla spiaggia o mentre gli altri arrostivano su per le montagne, il giorno prima della partenza è unico, specie per un universitario fuori sede.
Ormai si ci è abituati alla routine di casa propria, con il confort del proprio letto di sempre, la propria postazione pc/studio/spuntini vari e la comodità del divano e della grande tv del salotto, per non contare tutte le faccende di cui improvvisamente non si ci deve più curare: rifare il letto, lavare la stanza, preparare i vari pasti, lavare le stoviglie ecc. in più la pace della propria dimora, lontana dai problemi di rumori condominiali che si devono affrontare stando fuorisede.
Ma oltre l’abitudine di una routine comoda che fa dimenticare i problemi dell’università e lo stress della capitale, si aggiunge la piccola ansia della partenza e, specialmente, il decidere come sarà l’ultimo giorno prima di dire addio alle comode vacanze estive! Passare la giornata in famiglia? Passarla con gli amici? Con i parenti? O raggiungere in una giornata il top dell’ozio e del relax per se stessi?
Ogni scelta ha un suo rischio: se se ne sceglie solo una ci dispiacerà di non aver passato quel tempo con gli amici che non si rivedranno più fino a Natale e si sa come i rapporti d’amicizia in lontananza si assottigliano, ma ci dispiacerà anche non aver passato tempo con parenti come i nonni, perché, infondo, potrebbe essere uno degli ultimi incontri e ci dispiacerà non passare la giornata con la propria famiglia perché non si passa molto tempo con loro durante le vacanze e nell’anno in generale e perché, infondo, vorremmo dirgli grazie delle attenzioni che ancora continuano a darci; e così a seguire le altre scelte! Se si opta per l’ozio personale, ci sentiremo bene ma in colpa per non aver fatto contento nemmeno uno dei tre insiemi sopraelencati.
C’è anche l’ardita scelta di fare tutto insieme: «Dunque la mattina ed il pranzo, visto che i miei amici ed io ci alziamo tardi la passerò in famiglia, il primo pomeriggio un’oretta di relax totale e poi preparo la valigia; verso le h18 vado dai nonni, ci resto fino alle 19 circa e poi torno a casa in tempo per una doccia veloce, cena con i miei (anche questa rapida) e poi uscita con gli amici con rientro entro mezza notte, dato che la mattina dopo devo alzarmi presto!»; tutto sembra perfetto, tutto sembra calcolato ma in realtà tutto andrà in modo diverso, un piano così perfetto scivolerà in un frenetico accavallarsi di eventi che non ci daranno neanche la soddisfazione, in quel ritaglio di tempo per noi stessi, di esserci realmente riposati. Alla fine della giornata, dopo i calorosi saluti agli amici, saremo carichi di una stanchezza infinita, mista all’idea di una giornata così frammentata che è passata rapidamente. Insomma, come direbbe mio padre: «Stanchi ma felici.»; felici di aver accontentato tutti, ma stanchi per il tran tran e la corsa per rispettare le tabelle di marcia! E finirà così, quel giorno che ci da sempre tante aspettative e poi ci delude perché avremo voluto passare non un’ora ma tutta la giornata con ogni singola parte di quegli insiemi sopracitati.
Così l’ultimo giorno è un giorno molto strano, lo vorremmo perfetto, nella nostra immaginazione si dipinge come il miglior giorno di tutta l’estate e invece non è altro che una serie di cartoline di arrivederci con la nostra faccia stampata sopra, e l’amarezza di tutto ciò ci rimane anche nel mattino seguente, in cui per la prima volta ci svegliamo all’alba, guardiamo le auto coperte di brina, il cielo si fa cupo e vorremo dire nuovamente “ciao” ai nostri cari, ma non possiamo sia per l’orario, sia perché lo si è già fatto, l’ultimo atto è stato recitato e non si torna indietro; poi, questi malinconici pensieri si disperdono lentamente sull’autostrada.

domenica 15 giugno 2014

Non capisco tante cose...

Ci sono cose che davvero non capisco.
Io non capisco perché sia tanto difficile pensare agli altri, pensare "Sto facendo questo, darà fastidio?" basterebbe solo questo pensiero per vivere più serenamente e in pace: Rispetto altrui, questo sconosciuto. Non capisco come molti studenti universitari facciano la bella vita e riescano ad andare avanti comunque, mentre io devo sgomitare nonostante la dedizione. Non capisco quelli che parlano dei propri fatti personali in luoghi aperti, ad alta voce, per poi scandalizzarsi se qualcuno li osserva. Non capisco perché le persone sono sempre più inette, quando basterebbe un semplice gesto, una semplice azione per mettere fine a certe buffonate e far rispettare le regole. Non capisco la risata sguaiata di certe ragazze, il loro parlare in un modo così tamarro che il più grande wappo di quartiere le sputerebbe in un occhio. Non capisco coloro che gettano il sasso, ma ritirano sempre la mano. Non capisco coloro che gettano i sassi. Non capisco perché le zanzare vengano sempre a pungere me o a ronzarmi nell'orecchio la notte, nonostante le zanzariere e le mie precauzioni, mentre altri tengono i balconi spalancati fino a notte, senza alcuna rete, e restano tranquilli.
Non capisco perché pochi mi danno ascolto.
Non capisco perché la gente fischia durante la notte, un'azione utile per uno spunto narrativo, non per la praticità.
Non capisco perché per molti la parola data è pari a un pezzo di carta igienica usata.
Non capisco l'odio per i buoni e l'accettazione dei cattivi.
Non capisco perché noi artisti veniamo considerati semplici passatempo, parassiti della società.
Non capisco perché pago una stanza, per non poterla usare.
Non capisco tante cose e mi domando perché il mio inusuale, ciò che mi hanno insegnato saggiamente i miei, non sia il corrispettivo della società.

Non capisco tante cose, ma forse, forse chiudendo gli occhi posso liberarmi da queste oppressioni, dalla bile che scorre a fiumi, dai pensieri d'ira, di disgusto, di nausea e rimorsi... forse posso, basta chiudere gli occhi.

Un'altro rumore infrange il mio sognare.

sabato 24 maggio 2014

The marker is moving



The elevator’s doors were about to close when an hand, whose wrist was cover by a white cuff ironed well, stopped the doors and he entered with me in the cabin. He was a distinguished type, dressed in an elegant way, well cared skin and shaved face, opposed to mine, full of bristly beard, increased for my chronic laziness.
I had never seen him in the building,  but because I was there since a little time, I  asked nothing more than which floor was his destination, to establish who would have left the elevator first. He was going to the top floor, I had to stop in the middle of the building, that was enough high for the standard of the districts, so I chose, with no hesitation, my floor.
The old elevator, after a little jump, started its ascent and inside the cabin, set down that tense silence who likes to be formed where two people, unknown, are forced to stay close, without a possibility of exit.
I listened to the passing of the floors, one after one, because it was possible to hear a particular iron clatter when the elevator left a floor.
I and the man, no one else.
I and the man remained shoulder to shoulder, standing on our legs, in the silence, with the gaze straight and fixed.
I was going to resign myself to the idea of the silence, when a voice broke the quiet just broken by the flowing of the old cables of the elevator.
«The market is moving.»
I felt the instinct to turn around, but an instinct of protection, much more older than the human curiosity, broke my movement, and my confused and thoughtful eyes stopped on one of the low corners of the cabin.
 «The market is moving.»
I repeated in my mind trying to make sense of those words, pronounced with tranquility and cruel coldness.
When the doubt was so big to defeat my fears, I turned a little bit my eyes  to him, taller than me, closed in his light grey dress and in his white shirt at whose neck hung the noose of professionalism that reassures and trick at the same time.
He smiled, his thin lips were closed but extended on both sides and his face satisfied nodding, but it was an imperceptible movement, while all the rest of his body remained static, immobile, secure. I, curved, small, trembling, with an uncertain eye, but eager to discover what I should not have discovered, I suggested to him, to this unknown, this professional of market with a fatidic and stupid question.
«What does it mean?»
He stretched his smile, he looked me in a confident way, prepared, he knew that once conquered my attention, his hands on my brain could stimulate me and lead me to any place that he had chosen for me.
He was extremely confident! Confident and satisfied! Like, when during an exam at university, the first question is a royal flush for a sure and safety interrogation. Here! In the same way he looked at me: with no tension, dominant on my open curiosity, such as those of  Dante’s Ulysses.
He took a breath, he was going to answer, but the elevator, god of that microscopic universe, decided to deprive me of the answer stopping at my floor.
Then the man withdrew his will to speak in his typical ironic smile and I turned around disrupted, curved down my backpack full of books of university that would not have given me any answer, towards the exit.
First that both my feet were out, on the landing of my floor, the man stretched in my hand, dangling and half shut, a little leaflet where it was imprinted the solution to decode.
I turned around for seeing  him but I only saw half of his smiling face while the doors of the elevator, implacably shut, while his lips, without  adding any sound to his words, continued to say to me:
«The market is moving.»

Come home, touching and observing my usual life, I realized how much illusion was stuffed that sentence.

giovedì 22 maggio 2014

Il mercato si sta muovendo



Le porte dell’ascensore stavano per chiudersi quando una mano, il cui polso era coperto da un polsino bianco ben stirato, fermò le porte ed entrò con me nella cabina. Era un tipo distinto, vestito in modo elegante, pelle ben curata e rasato in viso, contrariamente al mio, folto di barba fosca, cresciuta per la mia cronica pigrizia.
Non l’avevo mai visto nello stabile, ma essendo che ero lì da poco non chiesi null’altro che il piano della sua destinazione, per stabilire chi dei due avrebbe lasciato per prima l’ascensore. Andava all’ultimo piano, io mi fermavo a metà dello stabile abbastanza alto per i criteri del quartiere, così scelsi, senza esitazione alcuna, il mio piano.
Il vecchio ascensore, dopo un piccolo sobbalzo iniziale, cominciò la sua salita e dentro la cabina si posò quel silenzio teso che ama formarsi laddove due persone sconosciute o poco affini, sono costrette a stare vicine, senza avere alcuna via di fuga.
Io sentivo i piani susseguirsi, l’uno dopo l’altro, perché si sentiva un particolare rumore metallico quando se ne superava uno.
Io e quell’uomo restammo fianco a fianco, ritti sulle gambe, con lo sguardo ritto e fermo.
Mi stavo per abbandonare all’idea del silenzio, quando una voce ruppe quella quiete già leggermente infranta dallo scorrere dei vecchi cavi dell’ascensore.
«Il mercato si sta muovendo.»
Ebbi l’istinto di girarmi, ma qualcosa, un istinto di protezione ancora più primordiale di quello della curiosità umana, mi spinse a smorzare quel gesto ed il mio sguardo confuso e profondamente pensieroso, si soffermò su uno degli angoli bassi della porta della cabina.
«Il mercato si sta muovendo.»
Ripetei nella mia mente cercando di dare un senso a quelle parole pronunciate con tranquillità ed una freddezza spietata.
Quando il dubbio fu così grande da sconfiggere i miei timori, girai appena gli occhi verso di lui, più alto di me, chiuso nel suo completo grigio chiaro e nella sua bianca camicia al cui collo pendeva il cappio della professionalità, quella che rassicura e inganna allo stesso tempo.
Lui sorrideva, le sue labbra sottili erano chiuse ma distese su entrambi gli angoli ed il suo viso soddisfatto annuiva, ma era un movimento appena percettibile, mentre tutto il resto del corpo restava statico, immobile, sicuro.
Io curvo, basso, tremante, incerto nello sguardo, ma desideroso di scoprire ciò che non avrei dovuto sapere, mi proposi a lui, a questo sconosciuto, a questo professionista del mercato con una fatidica eppure sciocca domanda.
«Cosa vuol dire?»
Allungò il suo sorriso, mi guardo sicuro, preparato, sapeva che una volta conquistata la mia attenzione, le sue mani sul mio cervello, potevano stimolarmi e condurmi verso qualsiasi luogo che lui avesse scelto per me. Era tremendamente sicuro! Sicuro e soddisfatto! Come quando a un esame d’università la prima domanda è una scala reale che mi condurrà su una strada sicura e tranquilla, ecco! Allo stesso modo lui mi guardava: privo di alcuna tensione, dominante sulle mie curiosità apertesi come quelle del dantesco Ulisse.
Prese fiato, stava per rispondermi, ma l’ascensore, dio di quel microscopico universo, decise di privarmi della risposta fermandosi al piano in cui dovevo scendere.
Allora l’uomo ritirò la sua voglia di parlare nel consueto sorriso ironico ed io mi voltai, scombussolato, piegato dallo zaino pieno di libri, che non mi avrebbero dato alcuna risposta, verso l’uscita.
Prima che entrambi i miei piedi fossero fuori, sul pianerottolo del mio piano, l’uomo allungò nella mia mano penzolante e semichiusa, un libretto di carta su cui vi era impressa la soluzione da decodificare. Mi voltai velocemente ma riuscii solo a vedere metà del suo viso sorridente e sicuro, mentre le porte, implacabilmente si serravano e le sue labbra che, senz’aggiungere alcun suono al movimento, mi dicevano ancora: «Il mercato si sta muovendo.»

Entrato in casa, toccando e osservando il mio consueto vivere, capii di quanta illusione era farcita quella frase.

mercoledì 21 maggio 2014

Pensieri su Parigi e la sua Dame

Parigi è qualcosa di unico al mondo.
Bella, dai quartieri popolari fino ai Champs-Élysées, sotto la pioggia, quando dalle chiese i gargoyles rigurgitano acqua e quando sotto il sole i giardini d'un verde intenso e di fiori colorati prendono vita e lucentezza riflettendo i loro colori nell’aria d’una primavera che sembra inverno, qui in Italia. Parigi sbatte in faccia ai suoi turisti il suo trionfo, la sua storia, i suoi personaggi, quegli uomini che hanno fatto delle sue vie storie intramontabili, penso a Victor Hugo, Proust, Boudelaire, Artaud per finire a Depardieu e Woody Allen. Essa trionfa nella sua abbondanza dovuta ai suoi maestri artigiani ed a chi seppe saccheggiare il mondo mantenendo, comunque, un’immagine di se apprezzabile.
Ho soggiornato a Montmartre, ai piedi della chiesa del Sacro Cuore, ogni mattina lo vedevo lassù, appena dietro qualche palazzo, mentre ai miei piedi scorreva la via, non una rue, ma un boulevard: via più grande e con un bel giardino in mezzo alle quattro corsie. Seppur ho avuto uno spiacevole dibattito con un venditore ambulante un po’ troppo insistente quello squarcio di quartiere della zona nord di Parigi, mi dava agio, conforto, con la sua viuzza tipica, piena di locali per turisti e qualche bistrò, con il giardino-scalinata che man mano ti faceva crescere davanti la città che, una volta giunti alla balconata ultima, si stendeva fino all’orizzonte, gremita di palazzi e aree di grattacieli; ma mai, mai ebbi la sensazione che essa si prostrava ai miei piedi, tutt’al più sembrava mettersi in posa, stendersi e dirmi: «Guardami, ammirami, non mi avrai mai totalmente.»; scherniva la vista ed il pensiero, ma non potevo odiarla, la sua bellezza, la voglia di scoprire cosa si celava in quelle rue o boulevard o in quei palazzi monumentali, copriva la vanità di questa gloriosa città. D’altronde sono abituato a questa sensazione, quando si ammira Roma dal Gianicolo o da un altro punto elevato, è simile la sensazione che si prova, seppur, in quel caso, vivendoci e sapendo che è parte della mia storia, posso gonfiare il petto d’orgoglio e dire a me stesso: «Questa è la mia capitale!»; ma Parigi, per quanto i Romani abbiano lasciato il proprio segno (come in quasi tutta l’Europa), sorge con monumenti che non più appartengono a quell’era, ma a periodi storici e vicende strettamente legate alla città, dal medioevo fino alla rivoluzione, Napoleone, Charles De Gaulle e tanti, tantissimi altri personaggi e vicende che vedo con un miscuglio di invidia e ammirazione; ma più la seconda, che la prima.
Poi c’è Notre-Dame, l’imponenza, la bellezza, la semplicità, la storia, l’arte e la letteratura, le fantasie, le musiche, tutto si scontra in essa, nella sua verticale quadratura. Vederla mi dava sempre piacere. Era rassicurante sapere che c’era, che esisteva. A partire dal nome per finire a ciò che significa per l’intera città. Notre-Dame ti accoglieva e ti assolveva, dava e dà protezione. Non si può rimanere inermi davanti alla dolcezza del viso della Madonna che, al centro della facciata, sorveglia la città e dentro la chiesa ti ascolta e ti ama incondizionatamente, mentre sotto di lei una schiera di santi ti osserva, ti giudica, in un vortice di sguardi che ti portano al pentimento, perché lo si sente, lo si percepisce che loro sanno tutto su di te, sul viandante che, approssimatosi ad una delle tre entrate, si sofferma a guardare l’arco nella sua interezza e trema per un momento, magari è un istante così breve da non rendersene nemmeno conto, ma sono sicuro che accade, bisognerebbe avere realmente un cuore di pietra e sentimenti vuoti per non provare nulla dinanzi quegli sguardi che da capo a piedi ti esaminano. Tutto il resto è lasciato ai gargoyles. Se la Madre ti accoglie, ti protegge come suo figlio, se gli altri santi ti giudicano severamente, il gargoyle non ha altro compito che scacciare via ogni male, ogni forma demoniaca, pur essendo loro figure di quel genere (forse sono ex-demoni che hanno deciso di proteggere i luoghi sacri) servono l’amore divino con tutto se stessi, a volte con un ira e un odio nello sguardo da far realmente fuggire, chi ha la coscienza troppo sporca, chi vuole profanare quel luogo. I loro corpi perlopiù protesi verso l’esterno sembrano in procinto ti attaccarti e divorarti, con quelle loro fauci spalancate, altri, quelli più noti e belli, stanno ai piedi delle campane, la voce celestiale di Notre-Dame, e guardano e sorvegliano con atteggiamento più cauto l’immensa distesa di case che è Parigi.
Dalle fogne che rigurgitano topi notturni ai battelli che di notte illuminano le acque verdi della Senna; dal terribile tanfo di urina di alcune Metrò, ai francesi, sempre più rari; al grattacielo di Montparnasse che ti regata Parigi di notte dall'altezza di sessanta piani, ai biglietti troppo cari dei mezzi pubblici; dal generale, residuo della seconda guerra mondiale, che scaccia i turisti come un pastore guida le pecore, per poter dare il via alla commemorazione del milite ignoto, fino ai negozi lussuosi dei Champs-Élysées; dalle opere d'arte italiane, greche, egizie, babilonesi, spagnole, fiamminghe fino alle opere d'arte francesi; dalla tomba dorata di Napoleone fino alla mia piccola e modesta stanza di un ostello di Montmatre posso dire di aver amato questa città, di cui ci sarebbe così tanto da dire... eppure sono stati solo cinque giorni.


sabato 15 febbraio 2014

Dotti, medici e sapienti



Iniziare questo articolo non è semplice, ci sono tanti capi a cui potermi appigliare per un buon inizio e quando tanti spunti si accavallano l’un l’altro, diventa difficile far chiarezza e cominciare, dunque inizierò nel modo più semplice e diretto possibile: oggi, sul tg de La7, è andato in onda un servizio sull’educazione infantile, dove quei “dotti e sapienti” di cui parla Bennato, commettevano l’ennesima gaffe: sostenevano, infatti, che le fiabe di Andersen, dei fratelli Grimm e chissà quante altre di quelle classiche, riadattate dalla Disney, non sono più adatte a educare i bambini moderni, i quali hanno bisogno, sin dalla prima infanzia, un’educazione votata all’accettamento dei gay nella società, e le vecchie favole, visto che raccontano sempre di principesse che coronano il sogno d’amore con il principe azzurro e mai forniscono l’idea di coppia omosessuale, non hanno i requisiti adatti per educare al meglio il bambino; in sostanza, concludeva il servizio, nell’attesa che i nuovi favolisti scrivano fiabe adatte a questi principi, Biancaneve, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco ecc. non devono essere più lette, né tantomeno si devono guardare le loro trasposizioni in film d’animazione.
A fronte dei concetti che esprimerò, premetto che non ho mai denigrato gli omosessuali, non l’ho fatto, perché non vedo la differenza, come non ho mai insultato nessuno che fosse di un pensiero religioso diverso dal mio o che non lo avesse affatto, come, infine, non ho mai insultato nessuno che non tifi la mia squadra di calcio; però, pur essendo cristiano, mi danno fastidio quei bigotti che si dicono “cristiani”, i quali passano le loro giornate a imputare leggi e restrizioni su programmi tv, libri, musica ecc.; non sopporto gli animalisti estremi, quelli per cui l’uomo può morire di fame, ma il cucciolo sotto casa deve avere la sua bistecca; non sopporto gli ultrà che rovinano il calcio e creano odio fra le tifoserie; allo stesso modo non sopporto gli omosessuali che, proprio come i loro principali “nemici” (i cristiani bigotti), passano il tempo a denunciare e declamare cosa vada bene e cosa no, allontanandosi, in tal modo, da ciò che invece è il loro obbiettivo principale: non essere discriminati, cioè non essere considerati diversi. Ovviamente non mi riferisco alle giuste polemiche che riguardano insulti o maltrattamenti, alle quali mi stringo in loro favore, ma a polemiche proprio come quella sopracitata. Non credo che “Biancaneve e i sette nani” della Disney possa mandare messaggi omofobi, né credo che possa istigare alla violenza e come questo, tutte le atre favole e tutti gli altri capolavori Disney acclamati e esaltati da menti brillanti come Bozzetto, D’Alò, Rodari, Eco, Fellini (come si è potuto constatare nel recente documentario “Walt Disney e l’Italia – Una storia d’amore”), dire che i cartoni animati di questo marchio sono dannosi per i bambini e per il loro futuro (oltre ad essere una chiara e palese sciocchezza) equivale a definire “incompetenti” quegli uomini che ho elencato, che, non solo sono uomini retti ed eccellenti, ma sopraffini scultori della fantasia e maestri della cultura.
Se si guardano bene i film d’animazione Disney (ma anche guardandoli con superficialità) si nota una gamma di insegnamenti che, oggi giorno, difficilmente i film d’animazione danno; si pensi a Bambi (che fra l’altro era stata accusato di essere un personaggio equivoco perché da piccolo sembrava una femmina) che non solo insegna cose bellissime, come, prima di tutto, il rispetto per la natura e per i suoi abitanti tutti (il che già è un messaggio che si può allargare all’accettazione del diverso), ma dà ai bambini una lezione tremenda e importantissima: fa vedere loro la perdita di un parente, nel caso specifico della mamma, e di come, nonostante ciò, si ci deve far forza e andare avanti perché tornerà la primavera e la serenità. I film Disney, dunque, non solo hanno il pregio di diffondere un’idea di vita idilliaca, ma il raggiungimento di quest’ultima avviene attraverso ciò che si chiama vita, con tutti i suoi lati belli e brutti. Se Biancaneve, alla fine, riesce a sposare il suo Principe Azzurro, lo fa dopo esser stata braccata da una persona che voleva ucciderla, dopo essersi persa nelle ombre del bosco e dopo aver sfiorato la morte, tutto a causa di una regina che non accettava la sua presenza. Potrei continuare ad oltranza, elencando i tanti insegnamenti sulla società, infatti, i personaggi Disney, pur non essendo dichiaratamente gay, sono tutti, o quasi, personaggi che inizialmente sono emarginati dalla società:
 - Biancaneve: sfruttata prima e quasi uccisa dopo;
 - Dumbo: criticato dalle elefantesse e sbeffeggiato da tutti per la sua diversità;
 - Cenerentola: sfruttata e denigrata dalle sorelle;
 - Biagio: cane di strada;
 - Red e Toby: l’uno una volpe e l’altro un cane da caccia, che dovranno essere nemici/amici;
 - La Bestia: essere mostruoso che tutti rifiutano per il suo aspetto;
 - Semola: ragazzetto senza genitori che viene sfruttato dal suo patrigno;
e così via fino a Frozen, dove c’è una regina delle nevi che è un personaggio estremamente fragile ed ha paura della sua diversità.

Appurato che non sono le favole a dar cattivi consigli, chi è che lo fa?

La scuola: dove tutti i diversi vengono discriminati, non solo i gay, ma dal ragazzo che ha gravi problemi fisici o mentali, fino a quello che, semplicemente, si veste in modo diverso o ha passioni diverse da quelle della comunità della classe. Come va la scuola in Italia? Inutile citare i casi di bullismo che sono usciti fuori qualche anno fa e quelli che proprio in questi giorni stanno condannando alunni e professori; poi, ricordiamo sempre che oltre ai casi che vengono filmati con il cellulare o quei casi eclatanti che esplodono sul Tg, ci sono migliaia di piccoli casi di bullismo quotidiano a cui uno studente è sottoposto, che non verranno mai alla luce.
Il nucleo familiare: i bambini imparano molto dall’esterno, ma tanto, tantissimo imparano dagli esempi che i genitori danno ai loro figli, ed a seconda di come vengono educati, i bambini, crescono di conseguenza. Se io sono abituato a salutare cordialmente le persone del mio palazzo, lo faccio perché mia madre mi diceva sempre di essere cordiale e di salutare, perché non farlo è scostumatezza; e lo faccio perché un giorno, entrando in classe, in primina, non salutando la maestra, questa mi sgridò facendomi notare che si doveva sempre salutare quando si entrava in classe. Questo è un piccolo esempio per far capire come scuola e famiglia siano il vero fondamento dell’educazione di un bambino.
Lo Stato: guardiamo che tipo di persone sono andate al governo in questi anni e capiremo subito perché la nostra società è avvezza alla discriminazione (che sia di sesso, di razza, di credo).

Le favole e le fiabe, sono fatte di eternità, non sono collocate in alcun tempo proprio per essere perfettamente adatte a qualsiasi cambiamento dell’umanità ed i classici Disney, sono come le opere teatrali di Shakespeare (mica non si deve leggere più Romeo e Giulietta, solo perché sono eterosessuali!), come i grandi capolavori francesi di Victor Hugo, dei romanzi filosofici di Dostoevskij, come i lavori teatrali e letterali di Pirandello che, oltretutto, incontrò Walt Disney e sembrava alquanto felice nel fotografarsi accanto a lui; pertanto non si possono definire “vecchie” o “sorpassate”.

Infine: non voglio vivere in un mondo che educhi il pensiero, nel significato più duro e crudo del termine, come avveniva in tempi dove la democrazia era ben lontana; sicuramente ci sono tantissimi spunti per far elaborare al bambino, all’adolescente e all’adulto, l’idea che esistono tanti modi per amare una persona, infatti, proprio nel servizio, sono state citate alcune favole “pro-gay”. Ben vengano! Ma non bruciamo un immenso e inestimabile patrimonio cinematografico e letterario! Farlo sarebbe come commettere un atto di discriminazione e di violenza! E, infine, dico a tutti coloro che realmente hanno a cuore la propria passione, le proprie ideologie, di non accanirsi verso gli altri, di non fare i “Dotti medici e sapienti”, perché infondo, nella nostra diversità, siamo tutti uguali e per consolidare questo termine bisogna iniziare a sentirsi tutti uguali, pur mantenendo le proprie singole diversità, perché tanto...

Al congresso sono tanti,
dotti, medici e sapienti,
per parlare, giudicare,
valutare e provvedere,
e trovare dei rimedi,
per il giovane in questione!