Le porte dell’ascensore stavano per chiudersi quando una
mano, il cui polso era coperto da un polsino bianco ben stirato, fermò le porte
ed entrò con me nella cabina. Era un tipo distinto, vestito in modo elegante,
pelle ben curata e rasato in viso, contrariamente al mio, folto di barba fosca,
cresciuta per la mia cronica pigrizia.
Non l’avevo mai visto nello stabile, ma
essendo che ero lì da poco non chiesi null’altro che il piano della sua
destinazione, per stabilire chi dei due avrebbe lasciato per prima l’ascensore.
Andava all’ultimo piano, io mi fermavo a metà dello stabile abbastanza alto per
i criteri del quartiere, così scelsi, senza esitazione alcuna, il mio piano.
Il vecchio ascensore, dopo un piccolo sobbalzo iniziale,
cominciò la sua salita e dentro la cabina si posò quel silenzio teso che ama
formarsi laddove due persone sconosciute o poco affini, sono costrette a stare
vicine, senza avere alcuna via di fuga.
Io sentivo i piani susseguirsi, l’uno dopo l’altro, perché
si sentiva un particolare rumore metallico quando se ne superava uno.
Io e
quell’uomo restammo fianco a fianco, ritti sulle gambe, con lo sguardo ritto e
fermo.
Mi stavo per abbandonare all’idea del silenzio, quando una voce ruppe
quella quiete già leggermente infranta dallo scorrere dei vecchi cavi
dell’ascensore.
«Il mercato si sta muovendo.»
Ebbi l’istinto di girarmi, ma qualcosa, un istinto di
protezione ancora più primordiale di quello della curiosità umana, mi spinse a
smorzare quel gesto ed il mio sguardo confuso e profondamente pensieroso, si
soffermò su uno degli angoli bassi della porta della cabina.
«Il mercato si sta muovendo.»
Ripetei nella mia mente cercando di dare un senso a quelle
parole pronunciate con tranquillità ed una freddezza spietata.
Quando il dubbio fu così grande da sconfiggere i miei
timori, girai appena gli occhi verso di lui, più alto di me, chiuso nel suo
completo grigio chiaro e nella sua bianca camicia al cui collo pendeva il
cappio della professionalità, quella che rassicura e inganna allo stesso tempo.
Lui sorrideva, le sue labbra sottili erano chiuse ma distese
su entrambi gli angoli ed il suo viso soddisfatto annuiva, ma era un movimento
appena percettibile, mentre tutto il resto del corpo restava statico, immobile,
sicuro.
Io curvo, basso, tremante, incerto nello sguardo, ma desideroso di scoprire ciò che non avrei dovuto sapere, mi proposi a lui, a questo sconosciuto, a questo professionista del mercato con una fatidica eppure sciocca domanda.
Io curvo, basso, tremante, incerto nello sguardo, ma desideroso di scoprire ciò che non avrei dovuto sapere, mi proposi a lui, a questo sconosciuto, a questo professionista del mercato con una fatidica eppure sciocca domanda.
«Cosa vuol dire?»
Allungò il suo sorriso, mi guardo sicuro, preparato, sapeva
che una volta conquistata la mia attenzione, le sue mani sul mio cervello,
potevano stimolarmi e condurmi verso qualsiasi luogo che lui avesse scelto per
me. Era tremendamente sicuro! Sicuro e soddisfatto! Come quando a un esame
d’università la prima domanda è una scala reale che mi condurrà su una strada
sicura e tranquilla, ecco! Allo stesso modo lui mi guardava: privo di alcuna
tensione, dominante sulle mie curiosità apertesi come quelle del dantesco
Ulisse.
Prese fiato, stava per rispondermi, ma l’ascensore, dio di
quel microscopico universo, decise di privarmi della risposta fermandosi al
piano in cui dovevo scendere.
Allora l’uomo ritirò la sua voglia di parlare nel consueto
sorriso ironico ed io mi voltai, scombussolato, piegato dallo zaino pieno di
libri, che non mi avrebbero dato alcuna risposta, verso l’uscita.
Prima che entrambi i miei piedi fossero fuori, sul
pianerottolo del mio piano, l’uomo allungò nella mia mano penzolante e
semichiusa, un libretto di carta su cui vi era impressa la soluzione da
decodificare. Mi voltai velocemente ma riuscii solo a vedere metà del suo viso
sorridente e sicuro, mentre le porte, implacabilmente si serravano e le sue
labbra che, senz’aggiungere alcun suono al movimento, mi dicevano ancora: «Il mercato
si sta muovendo.»
Entrato in casa, toccando e osservando il mio consueto
vivere, capii di quanta illusione era farcita quella frase.
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