sabato 24 maggio 2014

The marker is moving



The elevator’s doors were about to close when an hand, whose wrist was cover by a white cuff ironed well, stopped the doors and he entered with me in the cabin. He was a distinguished type, dressed in an elegant way, well cared skin and shaved face, opposed to mine, full of bristly beard, increased for my chronic laziness.
I had never seen him in the building,  but because I was there since a little time, I  asked nothing more than which floor was his destination, to establish who would have left the elevator first. He was going to the top floor, I had to stop in the middle of the building, that was enough high for the standard of the districts, so I chose, with no hesitation, my floor.
The old elevator, after a little jump, started its ascent and inside the cabin, set down that tense silence who likes to be formed where two people, unknown, are forced to stay close, without a possibility of exit.
I listened to the passing of the floors, one after one, because it was possible to hear a particular iron clatter when the elevator left a floor.
I and the man, no one else.
I and the man remained shoulder to shoulder, standing on our legs, in the silence, with the gaze straight and fixed.
I was going to resign myself to the idea of the silence, when a voice broke the quiet just broken by the flowing of the old cables of the elevator.
«The market is moving.»
I felt the instinct to turn around, but an instinct of protection, much more older than the human curiosity, broke my movement, and my confused and thoughtful eyes stopped on one of the low corners of the cabin.
 «The market is moving.»
I repeated in my mind trying to make sense of those words, pronounced with tranquility and cruel coldness.
When the doubt was so big to defeat my fears, I turned a little bit my eyes  to him, taller than me, closed in his light grey dress and in his white shirt at whose neck hung the noose of professionalism that reassures and trick at the same time.
He smiled, his thin lips were closed but extended on both sides and his face satisfied nodding, but it was an imperceptible movement, while all the rest of his body remained static, immobile, secure. I, curved, small, trembling, with an uncertain eye, but eager to discover what I should not have discovered, I suggested to him, to this unknown, this professional of market with a fatidic and stupid question.
«What does it mean?»
He stretched his smile, he looked me in a confident way, prepared, he knew that once conquered my attention, his hands on my brain could stimulate me and lead me to any place that he had chosen for me.
He was extremely confident! Confident and satisfied! Like, when during an exam at university, the first question is a royal flush for a sure and safety interrogation. Here! In the same way he looked at me: with no tension, dominant on my open curiosity, such as those of  Dante’s Ulysses.
He took a breath, he was going to answer, but the elevator, god of that microscopic universe, decided to deprive me of the answer stopping at my floor.
Then the man withdrew his will to speak in his typical ironic smile and I turned around disrupted, curved down my backpack full of books of university that would not have given me any answer, towards the exit.
First that both my feet were out, on the landing of my floor, the man stretched in my hand, dangling and half shut, a little leaflet where it was imprinted the solution to decode.
I turned around for seeing  him but I only saw half of his smiling face while the doors of the elevator, implacably shut, while his lips, without  adding any sound to his words, continued to say to me:
«The market is moving.»

Come home, touching and observing my usual life, I realized how much illusion was stuffed that sentence.

giovedì 22 maggio 2014

Il mercato si sta muovendo



Le porte dell’ascensore stavano per chiudersi quando una mano, il cui polso era coperto da un polsino bianco ben stirato, fermò le porte ed entrò con me nella cabina. Era un tipo distinto, vestito in modo elegante, pelle ben curata e rasato in viso, contrariamente al mio, folto di barba fosca, cresciuta per la mia cronica pigrizia.
Non l’avevo mai visto nello stabile, ma essendo che ero lì da poco non chiesi null’altro che il piano della sua destinazione, per stabilire chi dei due avrebbe lasciato per prima l’ascensore. Andava all’ultimo piano, io mi fermavo a metà dello stabile abbastanza alto per i criteri del quartiere, così scelsi, senza esitazione alcuna, il mio piano.
Il vecchio ascensore, dopo un piccolo sobbalzo iniziale, cominciò la sua salita e dentro la cabina si posò quel silenzio teso che ama formarsi laddove due persone sconosciute o poco affini, sono costrette a stare vicine, senza avere alcuna via di fuga.
Io sentivo i piani susseguirsi, l’uno dopo l’altro, perché si sentiva un particolare rumore metallico quando se ne superava uno.
Io e quell’uomo restammo fianco a fianco, ritti sulle gambe, con lo sguardo ritto e fermo.
Mi stavo per abbandonare all’idea del silenzio, quando una voce ruppe quella quiete già leggermente infranta dallo scorrere dei vecchi cavi dell’ascensore.
«Il mercato si sta muovendo.»
Ebbi l’istinto di girarmi, ma qualcosa, un istinto di protezione ancora più primordiale di quello della curiosità umana, mi spinse a smorzare quel gesto ed il mio sguardo confuso e profondamente pensieroso, si soffermò su uno degli angoli bassi della porta della cabina.
«Il mercato si sta muovendo.»
Ripetei nella mia mente cercando di dare un senso a quelle parole pronunciate con tranquillità ed una freddezza spietata.
Quando il dubbio fu così grande da sconfiggere i miei timori, girai appena gli occhi verso di lui, più alto di me, chiuso nel suo completo grigio chiaro e nella sua bianca camicia al cui collo pendeva il cappio della professionalità, quella che rassicura e inganna allo stesso tempo.
Lui sorrideva, le sue labbra sottili erano chiuse ma distese su entrambi gli angoli ed il suo viso soddisfatto annuiva, ma era un movimento appena percettibile, mentre tutto il resto del corpo restava statico, immobile, sicuro.
Io curvo, basso, tremante, incerto nello sguardo, ma desideroso di scoprire ciò che non avrei dovuto sapere, mi proposi a lui, a questo sconosciuto, a questo professionista del mercato con una fatidica eppure sciocca domanda.
«Cosa vuol dire?»
Allungò il suo sorriso, mi guardo sicuro, preparato, sapeva che una volta conquistata la mia attenzione, le sue mani sul mio cervello, potevano stimolarmi e condurmi verso qualsiasi luogo che lui avesse scelto per me. Era tremendamente sicuro! Sicuro e soddisfatto! Come quando a un esame d’università la prima domanda è una scala reale che mi condurrà su una strada sicura e tranquilla, ecco! Allo stesso modo lui mi guardava: privo di alcuna tensione, dominante sulle mie curiosità apertesi come quelle del dantesco Ulisse.
Prese fiato, stava per rispondermi, ma l’ascensore, dio di quel microscopico universo, decise di privarmi della risposta fermandosi al piano in cui dovevo scendere.
Allora l’uomo ritirò la sua voglia di parlare nel consueto sorriso ironico ed io mi voltai, scombussolato, piegato dallo zaino pieno di libri, che non mi avrebbero dato alcuna risposta, verso l’uscita.
Prima che entrambi i miei piedi fossero fuori, sul pianerottolo del mio piano, l’uomo allungò nella mia mano penzolante e semichiusa, un libretto di carta su cui vi era impressa la soluzione da decodificare. Mi voltai velocemente ma riuscii solo a vedere metà del suo viso sorridente e sicuro, mentre le porte, implacabilmente si serravano e le sue labbra che, senz’aggiungere alcun suono al movimento, mi dicevano ancora: «Il mercato si sta muovendo.»

Entrato in casa, toccando e osservando il mio consueto vivere, capii di quanta illusione era farcita quella frase.

mercoledì 21 maggio 2014

Pensieri su Parigi e la sua Dame

Parigi è qualcosa di unico al mondo.
Bella, dai quartieri popolari fino ai Champs-Élysées, sotto la pioggia, quando dalle chiese i gargoyles rigurgitano acqua e quando sotto il sole i giardini d'un verde intenso e di fiori colorati prendono vita e lucentezza riflettendo i loro colori nell’aria d’una primavera che sembra inverno, qui in Italia. Parigi sbatte in faccia ai suoi turisti il suo trionfo, la sua storia, i suoi personaggi, quegli uomini che hanno fatto delle sue vie storie intramontabili, penso a Victor Hugo, Proust, Boudelaire, Artaud per finire a Depardieu e Woody Allen. Essa trionfa nella sua abbondanza dovuta ai suoi maestri artigiani ed a chi seppe saccheggiare il mondo mantenendo, comunque, un’immagine di se apprezzabile.
Ho soggiornato a Montmartre, ai piedi della chiesa del Sacro Cuore, ogni mattina lo vedevo lassù, appena dietro qualche palazzo, mentre ai miei piedi scorreva la via, non una rue, ma un boulevard: via più grande e con un bel giardino in mezzo alle quattro corsie. Seppur ho avuto uno spiacevole dibattito con un venditore ambulante un po’ troppo insistente quello squarcio di quartiere della zona nord di Parigi, mi dava agio, conforto, con la sua viuzza tipica, piena di locali per turisti e qualche bistrò, con il giardino-scalinata che man mano ti faceva crescere davanti la città che, una volta giunti alla balconata ultima, si stendeva fino all’orizzonte, gremita di palazzi e aree di grattacieli; ma mai, mai ebbi la sensazione che essa si prostrava ai miei piedi, tutt’al più sembrava mettersi in posa, stendersi e dirmi: «Guardami, ammirami, non mi avrai mai totalmente.»; scherniva la vista ed il pensiero, ma non potevo odiarla, la sua bellezza, la voglia di scoprire cosa si celava in quelle rue o boulevard o in quei palazzi monumentali, copriva la vanità di questa gloriosa città. D’altronde sono abituato a questa sensazione, quando si ammira Roma dal Gianicolo o da un altro punto elevato, è simile la sensazione che si prova, seppur, in quel caso, vivendoci e sapendo che è parte della mia storia, posso gonfiare il petto d’orgoglio e dire a me stesso: «Questa è la mia capitale!»; ma Parigi, per quanto i Romani abbiano lasciato il proprio segno (come in quasi tutta l’Europa), sorge con monumenti che non più appartengono a quell’era, ma a periodi storici e vicende strettamente legate alla città, dal medioevo fino alla rivoluzione, Napoleone, Charles De Gaulle e tanti, tantissimi altri personaggi e vicende che vedo con un miscuglio di invidia e ammirazione; ma più la seconda, che la prima.
Poi c’è Notre-Dame, l’imponenza, la bellezza, la semplicità, la storia, l’arte e la letteratura, le fantasie, le musiche, tutto si scontra in essa, nella sua verticale quadratura. Vederla mi dava sempre piacere. Era rassicurante sapere che c’era, che esisteva. A partire dal nome per finire a ciò che significa per l’intera città. Notre-Dame ti accoglieva e ti assolveva, dava e dà protezione. Non si può rimanere inermi davanti alla dolcezza del viso della Madonna che, al centro della facciata, sorveglia la città e dentro la chiesa ti ascolta e ti ama incondizionatamente, mentre sotto di lei una schiera di santi ti osserva, ti giudica, in un vortice di sguardi che ti portano al pentimento, perché lo si sente, lo si percepisce che loro sanno tutto su di te, sul viandante che, approssimatosi ad una delle tre entrate, si sofferma a guardare l’arco nella sua interezza e trema per un momento, magari è un istante così breve da non rendersene nemmeno conto, ma sono sicuro che accade, bisognerebbe avere realmente un cuore di pietra e sentimenti vuoti per non provare nulla dinanzi quegli sguardi che da capo a piedi ti esaminano. Tutto il resto è lasciato ai gargoyles. Se la Madre ti accoglie, ti protegge come suo figlio, se gli altri santi ti giudicano severamente, il gargoyle non ha altro compito che scacciare via ogni male, ogni forma demoniaca, pur essendo loro figure di quel genere (forse sono ex-demoni che hanno deciso di proteggere i luoghi sacri) servono l’amore divino con tutto se stessi, a volte con un ira e un odio nello sguardo da far realmente fuggire, chi ha la coscienza troppo sporca, chi vuole profanare quel luogo. I loro corpi perlopiù protesi verso l’esterno sembrano in procinto ti attaccarti e divorarti, con quelle loro fauci spalancate, altri, quelli più noti e belli, stanno ai piedi delle campane, la voce celestiale di Notre-Dame, e guardano e sorvegliano con atteggiamento più cauto l’immensa distesa di case che è Parigi.
Dalle fogne che rigurgitano topi notturni ai battelli che di notte illuminano le acque verdi della Senna; dal terribile tanfo di urina di alcune Metrò, ai francesi, sempre più rari; al grattacielo di Montparnasse che ti regata Parigi di notte dall'altezza di sessanta piani, ai biglietti troppo cari dei mezzi pubblici; dal generale, residuo della seconda guerra mondiale, che scaccia i turisti come un pastore guida le pecore, per poter dare il via alla commemorazione del milite ignoto, fino ai negozi lussuosi dei Champs-Élysées; dalle opere d'arte italiane, greche, egizie, babilonesi, spagnole, fiamminghe fino alle opere d'arte francesi; dalla tomba dorata di Napoleone fino alla mia piccola e modesta stanza di un ostello di Montmatre posso dire di aver amato questa città, di cui ci sarebbe così tanto da dire... eppure sono stati solo cinque giorni.